La bellezza, linguaggio universale.
Talvolta, da dei fatti insignificanti o apparentemente privi di grande profondita’, nascono dei pensieri che sorprendono.
Non avendo grandi competenze musicali o sportive, o almeno non abbastanza da insegnarle nei mini corsi che teniamo presso il centro Murialdo ai ragazzi del quartiere La Ladrilleras, ho pensato di tenere occupati e divertire i bambini e ragazzi con qualche attivita’ manuale: lavoretti, semplici opere artistiche e cosi’ via.
Ho deciso di finalizzare tutti questi lavoretti alle aule del centro. Sin dai primi giorni, mi aveva colpito quanto fossero spoglie e tristi: qualche foglio in bianco e nero penzolante dalla parete, scritte con numerose lettere mancanti, in generale grigiore e trascuratezza. Sicuramente non mi aspettavo pavimenti lucidi e marmi, ma ho pensato: “Io, in un posto cosi, verrei volentieri a lavorare?”
Compendio breve di alcune cose che ho imparato da settembre ad oggi
Buona terra, buona gente, cieli chiari, acqua chiara
Aguascalientes è una città di circa un milione di abitanti giusto nel mezzo della Repubblica messicana. Si potrebbe addirittura affermare che se tracciassimo due linee immaginarie in grado di collegare diagonalmente i quattro angoli del paese, nel punto di intersezione vi troveremmo proprio Aguascalientes, con la sua catedral le sue peleas de gallos e gli ubriachi della feria di San Marco.
Capitale dell’omonimo stato (fra i meno estesi della Repubblica), Aguascalientes è conosciuta anche come “terra della gente buona”. Un soprannome, questo, inciso a chiare lettere anche sullo stemma cittadino bona terra, bona gens, clarum cielum, aqua clara.
Aguascalientes intende farsi riconoscere per la sua popolazione affabile ed accogliente, per il suo terreno fertile, per i suoi cieli privi di nubi e per le acque che sgorgano dalle numerose sorgenti termali. I tutto sommato bassi indici di violenza, in anni in cui nella gran parte del Messico infuriava la violenza narcos, le hanno peraltro valso l’appellativo di città del no pasa nada. Non accade nulla.
L’inizio di un viaggio verso sud: celebrazioni per il nuovo anno Amazigh in Tunisia
Tamezret, anno 2966. Suona come il preludio di un film di fantascienza, ed il paesaggio si presterebbe bene a farne da location. Siamo in un villaggio abbarbicato tra le crespe e semidesertiche colline della catena di Matmata, famose per aver dato i natali al leggendario Luke Skywalker, protagonista di Star Wars: il pianeta Tatooine.
Ma non siamo qui per rendere omaggio a George Lucas, bensì per assistere ad un evento che celebra l’identità dei popoli che abitano queste terre da millenni, i berberi. Il 16 gennaio si è festeggiato a Tamezret l’entrata nell’anno Amazigh 2966. Nonostante la presenza di popolazioni di etnia berbera in Nord Africa risalga a parecchi millenni prima di Cristo, è il 950 a.C. la data scelta come anno zero della storia berbera, anno in cui per la per prima volta un berbero diventa faraone di Egitto, dando inizio alla dinastia Shenshonq. Il computo di questo calendario è una convenzione moderna adottata dell’Accademia Berbera di Parigi negli anni ’60, ma col tempo condivisa dai sostenitori del risveglio dell’identità Amazigh.
Camminando su questa terra
Questa non vuole essere la semplice pagina di un diario, ma lo sfogo di una coscienza che spesso è silente e cova, un impeto di rabbia e dolore che lasciare andare in un sol fiato, aiuta a rendere più leggero il peso che dentro al petto grava.
Feliz Navidad
Ancora avevo in mente scheletri e catrinas del Día de Muertos che, all’improvviso e quasi senza che me ne accorgessi, sono stata circondata da lucine di natale e villancicos (i canti tipici del periodo natalizio). Sicuramente, abituata come sono al freddo e alla neve, non riesco ad aspettarmi davvero il Natale dove ancora riescono a fare 20 gradi nelle ore più calde della giornata, ma poco a poco me ne sto facendo una ragione!
Atardecer
Sta per iniziare il taller de guitarra e aspetto i miei allievi con ansia, ancora non so chi verrà. Sono arrivata con un nordico anticipo e quindi aspetto cercando di ripassare la lezione che mi sono preparata. Attendo seduta in una sedia-banco a dir poco scomoda che scricchiola ad ogni mio movimento e osservo i particolari di questa stanza in ogni suo dettaglio, ragni compresi.
Parto….ma senza epidurale
Già capire che stai partendo è complicato, realizzare che starai in un paese straniero per un anno è quasi impossibile. Mi aspettavo mille nuove 'regole' sociali da seguire, incomunicabilità, incomprensione, difficile lettura dell'altra persona per gap culturali vari...invece tutto sembra una viva corrente in cui ci si può tuffare o uscirne un po' a piacimento.
Alla fine puoi prenderti il tempo che vuoi per fare quello che ti senti....O forse anche questa è un'impressione, perchè tutto sembra un po' indefinito, non del tutto probabile.
La città non è grande, ma piena di persone che dalla mattina presto stanno in strada, dove si svolge la vita qui. Ovunque vai ci sono banchetti allestiti alla bell' e meglio, di persone che sembrano immobili nel loro vivere: ma poi pensi ai tetti di lamiera, che già alle sette del mattino rendono la casa un forno, alla temperatura fuori che è un deterrente a qualsiasi movimento e ti chiedi come facciamo a essere così attivi (la prospettiva è importante) .
Alla fine sembra di essere qui col corpo (lo dimostrano i vestiti sudati e i capelli impolverati), ma la testa pare essersi presa del tempo per riposare: un po' sopita,è intenta solo ad ascoltare e non riesce a formulare un'opinione su quello che ha attorno.
La comunicazione è zoppiccante, ma almeno ti porta a cercare di migliorare le tue capacità di improvvisazione e di mimo, piccoli speccatoli per pazienti ascoltatori: il sorriso e lo sguardo vitreo (segno della scarsa comprensione del dialogo) fortunatamente non scoraggio l'interlocutore di turno! Ora però abbiamo imparato quel poco che basta a dare l'illusione che potremmo sostenere un piccolo scambio di battute (Kume ku sta? N' sta dritu, obrigadu.. i bo gora? come stai ? bene,grazie e tu?..), ma all'improvviso il discorso si interrompe nell'imbarrazzo di aver perso il filo e scattano come molle i sorrisi di circostanza.
Qui ti chiedi come faccia la gente senza corrente (il frigo magari c'è, ma senza energia diventa solo un ingombrante comodino), ma sembrano domande che non molti si pongono: noi invece cominciamo a sentirne la mancanza... Per fortuna non mi fido delle prime impressioni: mai avuta una giusta!
Stefania Rossetto, Volontaria in Servizio Civile in Guinea Bissau
Nel furgone!
«¡¡Que no se vayan a caer, chicos!!». «¿Alguien puede ver por dónde andamos?» «¡Cuidado con las piernas!».
Le urla sguaiate di Doña Silvia ci distraggono dall'odore acre della verdura che si è rotta, perdendo i liquidi. Il furgone avanza insicuro, sobbalzando ad ogni interruzione dell'asfalto, mentre i pochi raggi di luce che passano tra le assi di legno illuminano i nostri volti stanchi ma divertiti. Le casse di frutta e verdura oscillano visibilmente ad ogni curva, e ad ogni curva il mio sguardo incrocia quello di Alejandro. Ci auguriamo entrambi di aver sistemato bene quelle dannate casse di cetrioli.
I remember when I went to school…
Tra i banchi di scuola disposti in fila, due per banco a condividere uno spazio comune con quel compagno da cui copiare una lezione mancata o quel compito in classe per cui non avevamo studiato. Sono ritornata fra i banchi di scuola dopo quasi 10 anni, ma in una dimensione nuova dove libri sgualciti si trovano adagiati in pile su una finestra sporca, dove tre persone stanno sedute su panche di legno che non hanno schienali, dove non c'e' il pavimento ed il tetto e' in lamiera, trattiene il calore in estate e il freddo in inverno e con la pioggia incessante non ci si sente piu'.
I remember... I miei banchi di scuola dove decine di chewingum erano attaccate mentre qui a stento intravedo una penna che scrive su un foglio ingiallito che domani un topino affamato sgranocchiera'...
Daniela Romano, Volontaria con il Servizio Civile in Kenya
Primi giorni a Bissau
Arrivare in piena notte a Bissau credo si possa definire un'esperienza quasi mistica.
Ancora adesso, che sono trascorse due settimane dal mio arrivo, ho serie difficoltà a cercare di spiegare la sensazione che ho provato dopo l'atterraggio.
Capitolo primo “Un'estate caldissima”
Dopo il viaggio, trascorso quasi completamente a dormire, scendo dall'aereo con lo zaino in spalla, e nel giro di pochi secondi mi accorgo che sto già grondando di sudore.
Capitolo secondo “ Il buio oltre la siepe”
Non vedo siepi, ma a parte i faretti sulla pista di atterraggio e una grossa luce in lontananza che presumo sia l'aeroporto, intorno a me c'è il buio più totale.
Capitolo terzo “Dove sono, dove mi trovo?”
Alcune persone mi fermano, mi lasciano in mano un foglietto, di cui inizialmente non coprendo l'utilità.
Mi rendo conto solo dopo che è il modulo per il visto e che va compilato (“ehm, e io che pensavo fosse un opuscolo pubblicitario!”).