Tre facili mantra per affrontare al meglio un anno da cooperanti e uscirne tutto sommato bene
Vivere all’estero non è, di per sè, qualcosa di realmente difficile. Solitamente si risente più della diversa alimentazione, a cui siamo culturalmente portati a legare i nostri affetti ed i nostri ricordi, che delle differenze linguistiche e culturali. Farlo però all’interno di un’esperienza di cooperazione allo sviluppo, e soprattutto farlo con il servizio civile, porta con sè una serie di problematiche e difficoltà speficiche ed insolite a cui pochi volontari in procinto di partire sono “pronti” (a meno di non aver già un bel bagaglio di esperienze pregresse).
Questo accade principalmente per due ragioni. In primo luogo, il paese/città/quartiere in cui il volontario si trova a vivere è di solito un’area del mondo che si definerebbe “povera”, o “problematica”. In cui cioè mancano in parte o del tutto alcune delle comodità a cui un ragazzo bianco europeo, nato durante gli anni del boom economico e poi laureatosi a pieni voti non ha mai, probabilmente, dovuto rinunciare. Di queste solo alcune, le più banali, sono di natura materiale. La maggior parte delle rinunce che si dovrà fare avrà a che vedere con la sfera dei servizi e delle libertà personali, comportando perdite talvolta consistenti sui propri standard in materia di facilità di spostamento, accesso alle cure mediche, gestione del tempo libero, etc.
Ovviamente, la quantità e la qualità delle rinunce da dover effettuare sarà diversa a seconda del Paese e della città di destinazione. Ciò nonostante, potrebbe non essere semplice abituarsi a vivere secondo standard diversi, ma che verosimilmente sono quelli del 99% dell’umanità.
Altre difficoltà avranno a che fare la natura del servizio che il volontario sarà chiamato a svolgere. Se a volte è difficile “inquadrare” dall’Italia la figura ed i compiti del cooperante, questo potrebbe diventare impossibile una volta giunti sul posto. Lavorare in contesti in cui le contingenze quotidiane sono spesso le uniche che si riesce ad affrontare significa infatti anche doversi muovere nell’improvvisazione e nella non chiarezza, nel disordine e nell’ambiguità.
Pensando dunque ai volontari che partiranno per esperienze simili pensato di scrivere i tre mantra che mi sono stati di aiuto durante il mio anno di servizio civile. Non si tratta di regole fisse e ve ne saranno sicuramente altri. Nel dubbio però vi consiglio di scrivervele su un foglio da tenere sotto al letto.
1. Prendersi il proprio tempo E’ vero, un anno passa in fretta, ma non in fretta. I primi 3-4 mesi serviranno per capire dove si è e con chi si ha a che fare, cosa si aspettano che facciamo e quali sono i rapporti di potere e mettere a punto la lingua con qualche modismo locale che, sorpresa, aprirà più porte di quante si potrebbe pensare. Sperimentare è la parola d’ordine e prendersi un po’ di più tempo all’inizio potrebbe rivelarsi fondamentale per ottimizzare il lavoro nei mesi che seguiranno.
2. Non dipende tutto da noi Il progetto esisteva prima del nostro arrivo ed esisterà (ci si augura) anche dopo che ce ne saremo andati. L’apporto del cooperante sarà un mattoncino in più in una grande torre di djenga, in cui la cosa che più conta è trovare il punto strategicamente più importante per stabilizzare la costruzione. Diversi fattori potrebbero tentare il cooperante di farsi carico di più problemi di quanti sarebbe lecito aspettarsi, correndo così il rischio di sovraccaricarsi di responsabilità, aspettative e stress. Un’oculata gestione delle energie è quanto mai necessaria.
3. Possiamo fare molto più di quanto crediamo Speculare al matra precedente, ci ricorda di non sminuire le proprie capacità né le possibilità di dare un contributo piccolo ma decisivo. Statisticamente, è probabile affrontare un momento di crisi in cui il progetto sembrerà una chimera e la vostra presenza sul luogo del tutto superflua o perfino non gradita. Prendere coscienza che tali situazioni non sono delle eccezioni nel vasto e complesso mondo della cooperazione, quanto piuttosto la normalità, propizierà un cambio di prospettiva necessario per trovare il proprio ambito in cui contribuire. Le doti di resilienza saranno messe a dura prova, ma ne sarà valsa la pena.
Marco Dalla Stella, Volontario in Servizio Civile in Messico
La Fiera del Messico
“¡Ya te va a tocar la feria!” (presto ti toccherà la fiera) è una delle frasi che, da quando sono ad Aguascalientes, mi sono sentito ripetere più spesso. La persona che la pronuncia solitamente lo fa con veemenza, travolgendomi con il suo entusiasmo. Di solito la conversazione si conclude con pacche sulle spalle e inviti a bere assieme. “Puro desmadre, güey”: sarà il caos più totale.
La feria in questione è quella di San Marcos, un santo particolarmente sentito anche dalle mie parti. Il leone alato dell’evangelista è infatti il simbolo della mia regione e dell’Università in cui mi sono laureato, nel lontano (?) 2013. A questo aggiungiamo che dall’evangelista sepolto a Venezia prendo il nome, e che nella città e nella via in cui ho vissuto negli ultimi due anni il 25 aprile, giorno dedicato al santo, ha un sapore del tutto speciale. Mi sono dunque avvicinato all’importante evento con un misto di fatalismo e rassegnazione, pensando che dopotutto non potrà essere una festa molto diversa di altre rassegne popolari a cui ho assistito. Mi sbagliavo.
Compendio breve di alcune cose che ho imparato da settembre ad oggi
Buona terra, buona gente, cieli chiari, acqua chiara
Aguascalientes è una città di circa un milione di abitanti giusto nel mezzo della Repubblica messicana. Si potrebbe addirittura affermare che se tracciassimo due linee immaginarie in grado di collegare diagonalmente i quattro angoli del paese, nel punto di intersezione vi troveremmo proprio Aguascalientes, con la sua catedral le sue peleas de gallos e gli ubriachi della feria di San Marco.
Capitale dell’omonimo stato (fra i meno estesi della Repubblica), Aguascalientes è conosciuta anche come “terra della gente buona”. Un soprannome, questo, inciso a chiare lettere anche sullo stemma cittadino bona terra, bona gens, clarum cielum, aqua clara.
Aguascalientes intende farsi riconoscere per la sua popolazione affabile ed accogliente, per il suo terreno fertile, per i suoi cieli privi di nubi e per le acque che sgorgano dalle numerose sorgenti termali. I tutto sommato bassi indici di violenza, in anni in cui nella gran parte del Messico infuriava la violenza narcos, le hanno peraltro valso l’appellativo di città del no pasa nada. Non accade nulla.
Nel furgone!
«¡¡Que no se vayan a caer, chicos!!». «¿Alguien puede ver por dónde andamos?» «¡Cuidado con las piernas!».
Le urla sguaiate di Doña Silvia ci distraggono dall'odore acre della verdura che si è rotta, perdendo i liquidi. Il furgone avanza insicuro, sobbalzando ad ogni interruzione dell'asfalto, mentre i pochi raggi di luce che passano tra le assi di legno illuminano i nostri volti stanchi ma divertiti. Le casse di frutta e verdura oscillano visibilmente ad ogni curva, e ad ogni curva il mio sguardo incrocia quello di Alejandro. Ci auguriamo entrambi di aver sistemato bene quelle dannate casse di cetrioli.
Una quinceañera un po’ speciale
In Messico il compimento dei 15 anni è, soprattutto per le ragazze, un appuntamento sentitissimo. I festeggiamenti coinvolgono l’intera famiglia allargata che investe gran parte dei loro risparmi per organizzare in grande stile il compleanno con mesi di anticipo (con tanto di fiere dedicate). Nulla viene lasciato al caso e i preparativi assomigliano in tutto e per tutto a quelli che vengono fatti per i matrimoni: vestiti principeschi, musica dal vivo, torta cerimoniale, affitto di un salón de fiestas, catering e noleggio della limousine sono alcuni dei lussi che anche le famiglie non propriamente benestanti si sforzano di concedersi.
Campamento
La realtà di Città del Messico alla lunga può diventare un po’ opprimente. Il chiasso, l’inquinamento, la confusione che è in grado di generare questo formicaio di 20 milioni di persone possono trasformare una scampagnata fuori città in un vero e proprio toccasana; soprattutto per i ragazzi del centro educativo le cui famiglie quasi mai dispongono delle risorse per portarli in vacanza e per i quali la realtà di città è l’unica conosciuta.
Per questa ragione, il campamento (campeggio) annuale è un appuntamento molto atteso e pressoché irrinunciabile. Ogni anno, gli educatori del centro si impegnano per dare ai ragazzi qualche giorno di divertimento e riflessione al di fuori del contesto urbano, il più possibile a contatto con la natura o comunque in una situazione che possa dirsi “diversa”...
La dirompente importanza del fútbol
Dopo il primo mese di soggiorno in Messico e di lavoro negli uffici del Leonardo Murialdo I.A.P. la principale certezza che ho maturato è una sola: il calcio è la vera, unica, dirompente passione del messicano. Il nostro lavoro, che al momento consiste nella elaborazione di uno studio socio-economico da sottoporre alle famiglie dei bambini e dei ragazzi che frequentano il centro, è infatti costantemente ed inevitabilmente scandito da intervalli di acceso opinionismo sportivo.
Welcome to Mexico
E’ passata una settimana dal nostro arrivo a Cittá del Messico. Lo spaesamento e il leggero disagio iniziale, presenza immancabile dei primi giorni di ogni viaggio, iniziano ora a sfumare e a perdere di intensità. I luoghi e i volti iniziano a diventare familiari, mentre odori e sapori sempre nuovi iniziano ad essere meno spiazzanti.
Il Messico ci accoglie fin da subito con il caos ed il calore che ci si potrebbe immaginare. Le procedure per uscire dall’aeroporto sono lunghe e confuse e mentre avanziamo sospinti da una folla verso l’uscita una scritta al led luminosa spicca all’interno di un corridoio buio e angusto. Leggo “Welcome to Mexico” mentre una famiglia con figli al seguito mi spintona sulla destra e un inserviente dell’aeroporto mi intima di fargli spazio sulla sinistra. La prossemica, in Messico, ha un significato un po’ tutto suo.
All’uscita ci attendono Padre Enzo, il nostro supervisore (nonché parroco della chiesa a cui è legato il centro educativo e ricreativo in cui andremo a lavorare), Paolo e Rolf (due ricercatori dell’Università di Torino) e una gentile señora il cui nome purtroppo non ricordo. Fuori è buio e fresco e nel tragitto verso casa guardo fuori dal finestrino in cerca di punti di riferimento da memorizzare, con pessimi risultati.
La nostra nuova casa, situata a pochi minuti a piedi dal centro dove lavoreremo, è piccola e accogliente e la cordiale señora Lulù ed il suo ultranovantenne padre don Manuel ci mettono subito a nostro agio. Nei giorni che seguono ci accompagnano alla scoperta del quartiere e ci cucinano piatti sempre saporiti e abbondanti. Lulù si vanta di avere una dieta equilibrata e sana, a differenza di molti altri suoi connazionali (il Messico è il paese più obeso al mondo), mentre l’unica difficoltà iniziale è nell’abituarsi ai diversi orari di pasto: pranzo intorno alle 16 e cena verso le 23.
Impariamo quindi a conoscere la nostra colonia di San Juan de Aragón, nella delegazione di Gustavo A. Madero (circa un milione di abitanti). Veniamo introdotti ai vicini di casa e accompagnati tra i colorati e caotici mercati di quartiere. E’ bello constatare come anche all’interno di una città da 20 milioni di abitanti il senso di comunità sia più vivo che mai. Ben più vivo di quanto abbia mai percepito nella mia città, che di abitanti ne fa sì e no 40.000.
La formazione
Il primo approccio con il centro educativo e formativo Leonardo Murialdo IAP è caloroso e accogliente. Grazie anche alla presenza di Paolo e Rolf (i due ricercatori dell’Università di Torino) veniamo subito integrati alla perfezione nello staff locale che si dimostra aperto e molto ben disposto nei nostri confronti. Alfonso, il nostro mentore, ci accompagna per il centro descrivendoci le attività svolte. Laboratori di computer, sale lettura, palestre, lezioni di taekwondo e cheerleader (questi ultimi forniti da scuole private), laboratori di parrucchiera e cucina ma soprattutto molta musica sono le principali attività proposte alla comunità. Una simile offerta è un grande patrimonio per i ragazzi della zona, che hanno a disposizione alternative credibili alla noia della strada.
Dopo esserci fatti spiegare l’oggetto della ricerca da parte di Rolf e Paolo e di come questa andrebbe approfondita, cerchiamo insieme ad Alfonso di capire quale sarà il nostro ruolo all’interno del CEPTRA. Il nostro supervisore ci spiega la sua perplessità riguardo la capacità del centro di attirare ragazzi provenienti da situazioni di povertà estrema e la difficoltà di elaborare strumenti di monitoraggio adeguati in tal senso. Sarà nostro compito, in un primo momento, provare a sviluppare e a proporre tali strumenti.
Nella prima settimana facciamo anche in tempo a stringere amicizia con alcuni ragazzi che quotidianamente frequentano il CEPTRA (Centro Educativo Preparación al TRAbajo) e a sfidarli in un torneo improvvisato di calcio balilla. La pallina è una sfera del mouse e i giocatori un po’ scassati, ma il divertimento non ne risente. Ci troveremo bene, ne sono certo.
Marco Dalla Stella, Volontario con Servizio Volontario Europeo in Messico