L’inizio di un viaggio verso sud: celebrazioni per il nuovo anno Amazigh in Tunisia
Tamezret, anno 2966. Suona come il preludio di un film di fantascienza, ed il paesaggio si presterebbe bene a farne da location. Siamo in un villaggio abbarbicato tra le crespe e semidesertiche colline della catena di Matmata, famose per aver dato i natali al leggendario Luke Skywalker, protagonista di Star Wars: il pianeta Tatooine.
Ma non siamo qui per rendere omaggio a George Lucas, bensì per assistere ad un evento che celebra l’identità dei popoli che abitano queste terre da millenni, i berberi. Il 16 gennaio si è festeggiato a Tamezret l’entrata nell’anno Amazigh 2966. Nonostante la presenza di popolazioni di etnia berbera in Nord Africa risalga a parecchi millenni prima di Cristo, è il 950 a.C. la data scelta come anno zero della storia berbera, anno in cui per la per prima volta un berbero diventa faraone di Egitto, dando inizio alla dinastia Shenshonq. Il computo di questo calendario è una convenzione moderna adottata dell’Accademia Berbera di Parigi negli anni ’60, ma col tempo condivisa dai sostenitori del risveglio dell’identità Amazigh.
Amazigh (al plurale Imazighen) significa “uomo libero”, ed è il nome con cui le popolazioni berbere identificano sé stesse. Gli Imazighen sono le popolazioni autoctone del Nord Africa, che sin dalla conquista islamica della regione (VII secolo) si sono andate progressivamente, ma solo parzialmente, assimilando agli arabi, alla loro lingua, religione e cultura. Gli arabi diedero loro il nome di berberi, parola derivante dal greco e che identificava coloro che non parlavano la lingua ellenica.
Nonostante la popolazione tunisina sia sostanzialmente di discendenza berbera, e nonostante la sua cultura sia intrisa di elementi risalenti alla tradizione berbera (dalla gastronomia, all’artigianato, ai riti estranei all’ortodossia islamica), sono pochi oggi coloro che ne parlano la lingua e ne conservano l’identità.
Nel corso dei secoli la cultura berbera è stata marginalizzata, relegata ad uno status minoritario, al massimo ad attrazione folkloristica per turisti, a favore dell’identità arabo-islamica, tanto che i regimi modernisti di Bourghiba e Ben Ali vietarono l’uso della lingua Tamazigh nei luoghi pubblici.
Con la rivoluzione del 2011 il popolo tunisino, oltre a portare avanti istanze prettamente politiche ed economiche, ha fatto esplodere le molte contraddizioni socio-culturali del paese, tra cui la questione dell’identità berbera. Si è dunque aperto uno spiraglio verso il riconoscimento della cultura Amazigh, e quest’apertura, seppure ancora limitata, ha permesso la nascita di associazioni che operano per la difesa e il risveglio della cultura berbera in Tunisia. Alla sua sola seconda edizione, il festival per la celebrazione del nuovo anno Amazigh, organizzato dal “Comitato di organizzazione delle festività del nuovo anno Amazigh”, ha dunque riunito la popolazione della regione di Matmata nel piccolo villaggio di Tamezret, una delle ultime roccaforti di questa cultura antichissima, ricca di storia e tradizioni, e soprattutto uno dei pochi villaggi dove ancora oggi si parla correntemente la lingua Tamazigh.
Situata nel governatorato di Gabès e arroccata tra le Djabal Matmata, Tamezret si trova ad una decina di kilometri dalla più famosa cittadina di Matmata, e a più di 80 kilometri da Medenine, la nostra città di partenza. Nonostante le latitudini – siamo nel profondo sud della Tunisia, ben lontani dai paesaggi mediterranei della costa settentrionale, e a due passi dal deserto del Sahara -- il freddo è pungente, e il cielo cupo promette una pioggia che non tarderà ad arrivare.
Il louage affittato dall’associazione viene a prenderci sotto casa verso le 8:30; siamo a Medenine da soli 3 giorni, per un progetto di volontariato con l’associazione locale AVER (Association Voix de l’Enfant Rurale)che ci ha segnalato l’evento e con cui siamo partiti per questo primo breve viaggio fuori porta.
La prima mezz’ora di strada scorre dritta e pianeggiante, nelle distese di terra rossastra puntellata di arbusti, palmeti, eucalipti e uliveti, prima di inerpicarsi attraverso il Djebel. Costeggiamo Tejoune, il primo villaggio berbero che incontriamo, punto di manifattura dei famosi tappeti. Ne approfittiamo per una pausa in un caffè posizionato in alto rispetto al villaggio. Non si vede nessuno tra le case di mattoni che se non fosse per le parabole sembrerebbero un tutt’uno con le montagne che le ha generate, chissà se pure gli abitanti non si siano mimetizzati col paesaggio in qualche modo.
Avvicinandosi alla città vecchia di Matmata il paesaggio ritorna ad offrire alla vista un po’ di verde, ed anche un po’ di sole. Il villaggio conserva tutta l’aria di essere una meta turistica, nonostante sia palese che il turismo nella regione, così come in tutto il paese, abbia vissuto tempi ben migliori di questi. Dalla strada si intravedono le “case trogloditiche”, le famose abitazioni scavate sotto terre che hanno ispirato il regista di Star Wars, e ci ripromettiamo di tornare presto per visitare Matmata.
Arriviamo finalmente a Tamezret dopo pochi minuti. La prima tappa è in un edificio isolato lontano dal paese, in cima ad un cucuzzolo da cui si può ammirare il villaggio da una parte, dall’altra il dorso delle colline che si rincorrono strette, disegnando un intreccio tortuoso, e che man mano si increspano e si innalzano creando in lontananza una catena azzurrina che delimita l’orizzonte.
La giornata si apre con una serie di conferenze sulla cultura Amazigh e sul suo ruolo nel passato e nel futuro del paese. I dibattiti sono intramezzati da assaggi di prodotti locali, come miele, datteri, olio di oliva,msamen, una sorta di crepes fritte, e svariati piatti di bsisa, un dolce a base di cereali, spezie, erbe e frutta secca.
La mattinata si anima all’arrivo di tre signori in abito bianco, gilet rosso e capus, che suonano musica tradizionale berbera con i tabla, strumenti a percussione suonati con rami di ulivo, e zukrah, una sorta di oboe in legno, mentre una donna in abito floreale si lancia in una danza che trascina gli spettatori, sfoggiando i tessuti ricamati a mano e i gioielli di manifattura locale.
Finita la sessione di conferenze arrivano altri musicisti, con bendir, tamburi a cornice, zukrah e qraqeb, sorta di castagnette in metallo, strumenti tipici della musica Gnawa, e parte finalmente un corteo che si dirige verso il villaggio, e che nonostante il freddo e la pioggia intermittente si allarga man mano che ci si avvicina al centro abitato. Dalle poche decine di persone che assistevano alla conferenza siamo diventati una processione danzante e chiassosa, dove affianco alle bandiere nazionali sventolano i colori delle bandiere Amazigh: l’azzurro del cielo e del mare, il verde dei campi coltivati, il giallo del deserto, e al centro la lettera Z dell’alfabeto Tamazighin rosso, che ricorda la silhouette di un uomo libero tra gli elementi della natura.
Attraversiamo i vicoli di Tamezret, passiamo attraverso le sue case di mattoni ocra, solo alcune intonacate di bianco, con le porte dipinte del tipico azzurro tunisino da cui sbucano donne e bambini a salutare il corteo o ad unirsi ad esso. Nel corteo iniziano a spuntare anziane donne che portano sui capi dei piatti ricolmi di cibo, e le stradine si riempiono di odori speziati che ci ricordano che abbiamo fame. Solo dopo un po’ capiamo il perché delle soste della nostra processione: di tanto in tanto ci fermiamo davanti le case delle famiglie che hanno preparato il cibo per la festa, da donare ai visitatori e alla gente del villaggio.
L’ultima tappa è infatti all’hotel Dar Ayed, dove nel cortile vengono sistemati tutti i piatti tipici della tradizione gastronomica berbera, preparati dalle donne del paese: mlukhia,una zuppa amara a base di una pianta tipica della regione nordafricana e mediorientale, cucinata insieme a carne di montone, cous cous, mtabga, una specie di focaccia ripiena, borghoul, rfisa una salsa rossa mista a tocchetti di pane…e tantissimi altri piatti di cui è impossibile ricordare il nome!
C’è un’aria festosa nel cortile dell’albergo, la gente si sistema sui tavolini improvvisati e fa la fila per il variegato buffet, mentre le anziane donne in colorati abiti tradizionali posano per i fotografi, professionisti o amatoriali che siano, con i volti rugosi e fieri, ornati da tatuaggi. Dopo il pranzo si continua a suonare e a danzare, le hit radiofoniche del momento rimpiazzano le melodie antichissime della tradizione berbera. Come a dire, non siamo qui per festeggiare il passato, la cultura Amazigh non è mai morta, e questo festival non vuole essere un passo a ritroso nel tempo, piuttosto un piccolo passo verso un futuro più rispettoso delle origini di questo paese.
Alessia Carnevale e Badia Aboutaoufik, Volontarie in Tunisia con il Servizio Volontario Europeo
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