La bellezza, linguaggio universale.
Talvolta, da dei fatti insignificanti o apparentemente privi di grande profondita’, nascono dei pensieri che sorprendono.
Non avendo grandi competenze musicali o sportive, o almeno non abbastanza da insegnarle nei mini corsi che teniamo presso il centro Murialdo ai ragazzi del quartiere La Ladrilleras, ho pensato di tenere occupati e divertire i bambini e ragazzi con qualche attivita’ manuale: lavoretti, semplici opere artistiche e cosi’ via.
Ho deciso di finalizzare tutti questi lavoretti alle aule del centro. Sin dai primi giorni, mi aveva colpito quanto fossero spoglie e tristi: qualche foglio in bianco e nero penzolante dalla parete, scritte con numerose lettere mancanti, in generale grigiore e trascuratezza. Sicuramente non mi aspettavo pavimenti lucidi e marmi, ma ho pensato: “Io, in un posto cosi, verrei volentieri a lavorare?”
Non penso di essere una persona superficiale, che si ferma all’apparenza, ma le prime contrazioni allo stomaco che mi ha dato questa citta’ mi sono state procurate dal suo aspetto estetico, immancabilmente squallido: le strade polverose, spesso piene di sporcizia e spazzatura, le case fatiscenti dai muri scrostati, le insegne accecanti delle grandi catene di supermercati….
Niente a che vedere con la bellezza remota delle meravigliose citta’ coloniali messicane: Puebla, Oaxaca, Morelia, Guanajuato….
No, Hermosillo e’ una citta’ oggettivamente brutta. La Lonely Planet, come gentile incoraggiamento a noi volontari, non ha mancato di definirla “caotica” e di specificare che “Non e’ certo una bella cittadina”.
La miseria della gente con cui spesso mi trovo ad avere a che fare e’ visibile, e’ lampante, nei piccoli e nei grandi particolari, e si trasforma nella bruttezza.
Nella maglietta piena di buchi e logora che indossa il piccolo Angel, nei denti marci delle signore che bevono l’acqua del rubinetto che corrode il sorriso, nella puzza dei capelli e dei corpi di alcuni dei miei ragazzi che si lavano, o vengono lavati, raramente.
Alcuni pensano che la poverta’ sia solo non avere il cibo per mangiare, o far fatica a sopravvivere, ma in verita’ la poverta’ influenza una gamma infinita di aspetti della vita. Direi quasi tutti. La poverta’ fa sembrare una donna vecchia a quarant’anni (come mi ricorda sempre Luca, “ricchezza, media bellezza!”). La poverta’ non permette ai ragazzi di comprare quelle scarpe che adorano, non permette di scegliere i vestiti che vogliono indossare e di esprimere il proprio buon gusto. La poverta’ fa mangiare cibo spazzatura e ingrassare e ammalarsi, e tutto questo si ripercuote anche a livello fisico. La poverta’ ti fa usare prodotti di cattiva qualita’, non ti permette di adornare la casa, anche semplicemente, ma con dignita’. La poverta’, nei casi estremi, ti spinge a rapporti e relazioni che spontaneamente non avresti, ma che ti attirano per benefici economici. La poverta’ non permette di viaggiare, di aprire la mente, di non invidiare i ricchi, di poter uscire con gli amici, di fare il lavoro per cui avresti talento e predisposizione, di essere sereni rispetto al proprio futuro….
Ripeto, la poverta’ non e’ solo una questione materiale: influenza il destino delle persone, le loro aspettative, la visione del mondo che hanno. Chiude moltissime porte, sotto tutti i punti di vista.
Tutto questo quadro non toglie il fascino che si puo’ trovare anche nella miseria, anche nella bruttezza; De André cantava che “dai diamanti non nasce nulla, dal letame nascono i fior”. Se si va oltre alla contrazione di stomaco, si possono scoprire delle cose molto belle, dei valori sconosciuti, dei caratteri fortissimi e pieni di dignita’ rispetto alle avversita’ della vita, e persino la citta’ comincia ad apparire sempre brutta, ma anche incredibilmente viva, concreta, spiccia. Si puo’ andare oltre tutta la bruttezza e scoprire storie sorprendenti, ma tutto questo richiede uno sforzo, e soprattutto tutto questo non toglie la bruttezza iniziale, esteriore.
Inevitabilmente, la bruttezza si rispecchia nel nostro animo.
I giorni seguenti ai lavori di decorazione delle prime aule, i ragazzi entravano con uno stato d’animo diverso.
Alcuni rivedevano le loro piccole opere sulle pareti e si sentivano orgogliosi di aver contribuito al centro, che molto spesso per loro rimane un’entita’ estranea, dalla quale solo si aspettano di ricevere benefici senza preoccuparsi troppo di dare qualcosa in cambio (mentalita’ non cosi’ strana in questa fascia di popolazione).
Ho avuto la percezione forte che nella sostanza non cambiasse nulla – le lezioni rimanevano lezioni, lo studio era sempre arduo – ma che in qualche modo questa semplicissima bellezza fatta di cartone, colla a buon mercato, un po’ di colore e tanta fantasia, avesse lasciato qualche segno. E’ vero che una classe piu’ bella non avrebbe fatto i compiti per loro, ne’ avrebbe alleviato nessuna fatica o noia o stanchezza. Ma in qualche modo una classe bella esprimeva una cura dei bambini verso il luogo e anche verso se stessi.
E’ impossibile non capire che la bellezza e’ un linguaggio universale e che tutti, anche qui dove sembrano cosi’ estranei a questo concetto, dove vivono e vivranno tutta una vita tra la polvere e lo smog e la sporcizia, la ricercano.
Lo si vede dai piccoli particolari.
Da quanto e con che cura si truccano le donne messicane, o badano al proprio aspetto fisico. Hanno un perfezionismo e una sensualita’ tutta loro, che mi ha colpito moltissimo e spesso mi ha fatto vergognare della mia trasandezza, come se fosse un implicito rimprovero verso di me, che sicuramente ho piu’ mezzi per curarmi.
Lo vedo anche da quando i ragazzi pre adolescenti sbarrano gli occhi vedendo foto di paesi lontani, di paesaggi mozzafiato, e alcuni sospirano: Come mi piacerebbe andare a vederli!
Lo vedo anche dalle meravigliose trecce che sanno farsi le bambine, e dalle lezioni di pittura affollate, e da quando socchiudono gli occhi per ammirare i miei nuovi orecchini da venti pesos, lasciandosi andare a qualche complimento spontaneo.
Lo vedo dall’amore che hanno i messicani verso la musica, una delle bellezze piu’ evidenti, e anche dal fatto che i miei ragazzi ruberebbero senza molti sensi di colpa soldi per comprarsi delle scarpe o dei vestiti nuovi e…belli, finalmente.
E’ abbastanza buffo pensare che tutte queste riflessioni si sono sviluppate nella mia mente tagliando della carta velina per l’ennesimo salón (aula) di un remoto centro giovanile di una citta’ sconosciuta alla maggior parte degli stessi messicani…
E dire che la prima volta che ho sentito il nome di questa citta’, ho pensato immediatamente: “Hermosillo deve derivare da Hermosa, ovvero molto bella….mi piace, promette bene!”. Ebbene, in qualche modo ho trovato la mia hermosura anche qui, e in piccola parte anche io sto cercando di diffonderla.
Anna Tornaghi, Volontaria in Messico con il Servizio Civile
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