Volontari
14Mag/140

Un continente che cammina – Racconti dalla Sierra Leone

DSCF3860

Più d'uno ha descritto l'Africa come “un continente che cammina”.

Questa definizione, anche se un po' sorpassata, mi piace moltissimo proprio perché anch'io, durante i sei mesi che sto trascorrendo in Sierra Leone, mi metto spesso in marcia. Quando si immagina il “camminare” si pensa prima di tutto alla fatica. E certamente le file di donne che trasportano tronchi di legna per chilometri, o i bambini incaricati di riempire l'acqua in enormi bacinelle dai pozzi, non sono solo immagini, ma realtà quotidiane di sforzi e difficoltà, a volte sovrumane. Nella piccola città di Lunsar dove vivo, camminare significa però anche tante altre cose... per i bambini e i ragazzi di ogni età significa andare a imparare, con le divise pulite e ben stirate che oramai ho imparato ad abbinare alle varie scuole; per gli uomini e le donne più o meno giovani di Lunsar significa lavorare, andando di casa in casa, o meglio di cortile in cortile, per vendere le merci più varie, dalle torte di riso, alle cassava leaves, alle torce cinesi, ai saponi tradizionali; tutte rigorosamente appoggiate e trasportate sulla testa, con un savoir faire e una leggerezza che continuo ad invidiare loro, anche a causa dei miei fallimentari tentativi di imitazione. Camminare, in quel di Lunsar, significa per me fare ogni giorno una nuova scoperta, anche a causa del mio pessimo senso dell'orientamento! Giorno dopo giorno tutto, e soprattutto tutti diventano familiari, tu a loro, e loro a te...

Le prime uscite nelle strade di Lunsar erano accompagnate dalla continua cantilena dei bambini che cercano di attirare la tua attenzione, o che fanno a gara a chi ha il coraggio di venirti più vicino.
Sei straniero, e lo senti profondamente, nonostante i sorrisi curiosi, e i richiami continui che ti mettono in imbarazzo e non vorresti. Poi le cose cambiano, le persone imparano il tuo nome, e dimenticano l'etichetta di “opoto”, almeno per un po'. E le uscite dal “compound” diventano sempre più indaffarate e abitudinarie: andare dal sarto consigliato da una cara amica sierraleonese a farsi cucire il vestito, prendere il caffé al baretto del ragazzo guineano per non dimenticare il francese, partecipare alla competizione dello sport e vestirsi a tono per supportare seriamente la squadra dei “blu”, non dimenticare l'appuntamento per fare un giro in bici al tramonto sfidando le zanzare.

E' questo di cui vi voglio raccontare, e cioè della mia every-day-life in Sierra Leone; l'ufficio ENGIM vero e proprio c'è da poco tempo, e si lavora duro, nonostante le risorse limitate, per implementare progetti concreti, e che assicurino la partecipazione dei villaggi coinvolti. Coltivare pochi ettari di terreno, ma assicurarsi che ogni contadino della piccola associazione del villaggio sia presente, provi di mano propria a mettere in pratica nuove tecniche, e possa riprodurle sentendosi sicuro, ed eventualmente insegnarlo ai contadini dei villaggi vicini. Scavare un pozzo, ed assicurarsi che il villaggio venga scelto in base alla reale necessità, e non alla visibilità della targa al bordo della strada. Responsabilizzare e far partecipare, sono questi i principi che mi spingono ad apprezzare il lavoro che si sta facendo, e a volerne far parte.

Sono però fortemente convinta del fatto che poter intervenire in un contesto diverso da quello che ci è familiare, e vi assicuro che la Sierra Leone lo è stato è lo è tuttora per me, bisogna voler, e a volte sforzarsi, di conoscere, di vivere la quotidianità, anche difficile di questo posto.

Sarà impossibile farlo fino in fondo, e sarebbe ipocrita credere di poterlo fare, ma l'importante è'avvicinarsi in punta di piedi, piano piano, lasciando da parte giudizi, preconcetti e stereotipi su quell'Africa che pensiamo di conoscere e che per fortuna, è molto di più.

DSCF3777

Uno dei luoghi di incontro che più preferisco è il mercato. E in particolare il “luma”, e cioè il mercato settimanale. A Foredugu, un villaggio a qualche chilometro da Lunsar, il “luma” cade di martedì, dove si raccolgono persone, animali e merci da tutti i villaggi circostanti, e persino da, alcune città del distretto. Ciò che in un certo senso mi affascina del luma è la sua regolarità, la sua cadenza settimanale che viene attesa, e per cui ci si organizza in spostamenti, a volte pesanti, pericolosi e snervanti. Parlando dell'Africa come di un continente che cammina, va infatti detto che in realtà i mezzi di trasporto pubblici sierraleonesi sono vari e trafficati, coloriti, purtroppo pericolosi. Decidendo di affidarsi in alcuni casi al trasporto pubblico, in particolare ai poda-poda (piccoli pulmini) si può fare esperienza diretta di alcuni dei caratteri che, a parer mio, caratterizzano la società sierraleonese di provincia. “Non c'è spazio - mi dicevo - non ci possiamo, stare, adesso siamo al completo”. Invece no, lo spazio si trova, ci si schiaccia, ci si abbraccia, ci si avvicina talmente tanto a persone totalmente sconosciute che però sono assolutamente a loro agio in questa vicinanza non scelta. Non si parla piano al telefono, non si evita di mangiare - perché siamo troppo stretti - si urla continuamente all'autista.

Il concetto di discrezione e se vogliamo di invadenza è diverso, e lo è profondamente. Arrivati al mercato ci si può addentrare nel bazar di merci, di ogni tipo e di ogni provenienza. Sarebbe sbagliato pensare che il mercato sia semplicemente un luogo di scambio di merci; il mercato ha un suo “tempo”, e un suo “spazio”, che sono in armonia con tutti gli altri “tempi” e “spazi” della vita quotidiana dei villaggi, e fanno cioè parte di un sistema sociale: aver incontrato una certa persona due o tre mercati fa, confrontare il prezzo della manioca con il mercato scorso, darsi un appuntamento (anche amoroso) al prossimo luma, sono alternative all'agenda occidentale. Aggirandosi tra le bancarelle del mercato, ci si renderà presto conto di trovarsi in una dimensione che è specialmente femminile, un luogo creatdalla laboriosità delle donne. Se ne vedranno, davvero di ogni età, impegnate in molteplici attività: la Madame che contratta un sacco di manghi per 5.000 Leoni, tiene legato al dorso con una lapa (tipica stoffa dell'Africa occidentale) l'ultimo arrivato, mentre alimenta con un ventaglio le braci per cucinare la plasauce del mezzogiorno. In alcuni casi le venditrici del mercato svolgono un ruolo di “rappresentanza” per le loro compaesane; è infatti consuetudine che le donne di uno stesso villaggio si organizzino in piccoli gruppi di trasformazione, come le tante “associazioni delle donne produttrici di olio di palma”, il cui surplus rispetto alle esigenze del villaggio sarà venduto in qualche mercato circostante. L'esistenza dei cosiddetti “circuiti” di mercati fa sì che la stessa donna sia, a seconda del luma, acquirente o venditrice. In Sierra Leone, come in molti altri paesi, il lavoro è fortemente sessualizzato, poiché la divisione delle attività economiche avviene su base di genere.
In tale prospettiva, di competenza tradizionalmente femminile è il commercio al dettaglio, e così la storia delle donne e dei mercati africani diventa anche una storia di “contropotere”.  E' attendendo il giorno del luma che almeno tre generazioni di donne passano i pomeriggi al villaggio, preparando i sacchettini di spezie, ripulendo le foglie, contando e ricontando i leoni da investire in una tontina o il prezzo a cui acquistare la farina di manioca. E sarà nel giorno del luma che questem donne possono finalmente dar prova delle loro capacità imprenditoriali, delle loro abilità di negoziazione, di risparmio e investimento. E' davvero uno spazio di contro-potere, o meglio di espressione di un potere decisionale e di iniziativa che è soffocato in molti altri spazi della vita sociale.

Se mi si chiedesse, che cosa pensi di aver imparato in questi mesi? Tante cose, risponderei, ma soprattutto la consapevolezza di quanto poco ci conosciamo, e di quanto sarebbe importante avvicinare le nostre realtà in modo sano e realistico. L'esperienza che i sierraleonesi hanno dell'Europa o degli Stati Uniti, al di là dell'impegno umanitario di ONG e congregazioni religiose, verso cui per alcuni aspetti si sono mosse e si stanno muovendo critiche in termini di efficacia degli interventi, rimanda al sempre più impattante ritorno sul territorio delle compagnie minerarie; insieme al lavoro esse portano con sé aumento dei prezzi dei beni di consumo, danni ambientali, strutturale dipendenza economica, fenomeni di prostituzione e molto altro. L'immagine che i sierraleonesi hanno di “noi”, è quella del denaro, di quel bigliettone verde che ci assicura la felicità e che li attrae a partire. L'immagine che noi abbiamo di “loro” invece, la conosciamo tutti, ed è così piccola, rispetto al mondo complesso che davvero esiste.

J.M.G. Leclézio, nel libro “L'africano”, descrive la storia e il suo amore per questo continente “al tempo stesso così giovane e così maltrattato dal mondo moderno”. Questa descrizione potrebbe calzare a pennello per la Sierra Leone, anche se io ne preferisco altre fatte di ottimismo.

Giulia Trevisson Coppe, Master dei Talenti in Sierra Leone presso ENGIM ONG

Commenti (0) Trackback (0)

Ancora nessun commento.


Leave a comment

Ancora nessun trackback.