Volontari
14Giu/160

La Fiera del Messico

banda feria

Le “bandas” in strada suonano così vicine le une alle altre che è impossibile distinguerne la musica.

 

“¡Ya te va a tocar la feria!” (presto ti toccherà la fiera) è una delle frasi che, da quando sono ad Aguascalientes, mi sono sentito ripetere più spesso. La persona che la pronuncia solitamente lo fa con veemenza, travolgendomi con il suo entusiasmo. Di solito la conversazione si conclude con pacche sulle spalle e inviti a bere assieme. “Puro desmadre, güey”: sarà il caos più totale.

La feria in questione è quella di San Marcos, un santo particolarmente sentito anche dalle mie parti. Il leone alato dell’evangelista è infatti il simbolo della mia regione e dell’Università in cui mi sono laureato, nel lontano (?) 2013. A questo aggiungiamo che dall’evangelista sepolto a Venezia prendo il nome, e che nella città e nella via in cui ho vissuto negli ultimi due anni il 25 aprile, giorno dedicato al santo, ha un sapore del tutto speciale.  Mi sono dunque avvicinato all’importante evento con un misto di fatalismo e rassegnazione, pensando che dopotutto non potrà essere una festa molto diversa di altre rassegne popolari a cui ho assistito. Mi sbagliavo.

E’ difficile spiegare cosa significhi una feria, da queste parti. Chiunque abbia vissuto in un paese latino avrà con tutta probabilità imparato ad amare (o ad odiare) le grandi ferias che animano, con cadenza annuale, dal più piccolo paesino alla più grande metropoli. Ben diversa dalla fiera nostrana (mercato all’aperto, giostre anni Novanta e panini con salciccia a 4,50€), la feria ispanica riunisce in sè in un equilibrio precario celebrazione delle tradizioni ancestrali e momentanea diluizione in alcol dei codici di moralità e civiltà. Processioni religiose, balli folklorici, rievocazioni storiche si alternano dunque con concerti rock, notti scatenate in discoteca e fiumi di giovani e meno giovani che brindano alla vita nelle strade e nelle piazze del centro storico. In Spagna sono famose quelle per San Firmino a Pamplona, per la Virgen del Pilar di Saragozza, per la Virgen de la Merced di Barcellona.

Ecco, diciamo che la Feria di San Marcos di Aguascalientes è abbastanza simile. Ma messicana e, se possibile, ancor più esagerata.

Per tre settimane tra fine marzo ed inizio aprile una sonnolenta città industriale del Messico centrale diventa meta di laico pellegrinaggio per innumerevoli turisti, perlopiù messicani. Più di cinque milioni di persone vi si riversano ogni anno per celebrare la messicanità norteña: quella fatta di allevamento bovino, musica di banda, cappelli ingombranti, machismo e, qualche volta, simpatie narcos.

Ad attirarli qui una zona fiera di olre 90 ettari in cui c’è un po’ di tutto. Alla Feria de México (così anche è conosciuta, tale è la sua importanza) immancabile è il Casinò, dove eccentrici vaqueros si giocano una fortuna al blackjack, al poker caribeño o, i più tradizionalisti, ai combattimenti fra galli. Questi ultimi sono un vero e proprio simbolo identitario di Aguascalientes, tanto da essere il tema centrale della canzone più rappresentativa, usata nelle più diverse occasioni per stimolare il campanilismo hidrocálido.

Immancabile è il serial taurino, la macabra tradizione d’importazione spagnola in cui un’arena festosa accoglie con canti e urla l’uccisione dello sfortunato toro di turno. I biglietti per questo tipo di eventi si esauriscono con mesi di anticipo.

 

zebu

Alla fiera del bestiame di Aguascalientes ho finalmente scoperto com’è fatto uno zebù

C’è poi la zona expo, in cui espositori da tutto il Messico vendono artigianato e prodotti gastronomici locali, e l’expo ganadera, in cui animali da allevamento vengono esposti, comprati e venduti. Gli spettacoli di charros, i tradizionali cowboy messicani che si esibiscono in frenetici rodeo, ed i concerti di musica norteña contribuiscono a creare un’atmosfera festosa e concitata.
Non mancano concerti dei più importanti gruppi nazionali di musica popolare. Quest’anno ad esempio si è esibito lo storico ensemble di musica tropicale Sonora Santanera, la pop-star internazionale Natalia Lafourcade e la rock band più iconica della messicanità, il Tri. Ma un altro è stato il concerto più atteso, affollato e acclamato.
In città sono infatti approdati i leggendari esponenti del (narco)corrido los Tigres del Norte, una band con più di 50 anni di carriera alle spalle e che non disdegna cantare  delle imprese dei narcotrafficanti, descritti di solito come moderni Robin Hood o veri e propri modelli di successo.
Ma è in strada che la feria trova la sua massima espressione, il suo cuore pulsante. Durante le settimane di festa è infatti permesso consumare alcolici in spazi pubblici, cosa solitamente proibitissima. Normalmente, se vieni pizzicato da un poliziotto con una birra aperta in mano la multa (o, più spesso, la mazzetta) è assicurata.

andator ags
Ma non per San Marcos, quando le strade del centro si trasformano in un fiume umano in cui i brindisi tra bottiglie di birra di litro (rigorosamente marca Victoria) scandiscono il ritmo della festa. Ad ogni angolo piccoli gruppi di banda suonano a pagamento i successi dell’anno ed i grandi classici, e le coppie si esibiscono in balli a due francamente un po’ buffi. Il commercio, tanto formale quanto informale, esplode in quella è affettuosamente chiamata “la cantina más grande de México”: la taverna più grande del Messico.

L’ultimo weekend, che giunge la prima settimana di maggio, è quello dei record. L’afflusso di gente non si e la polizia è chiamata in massa ad evitare incidenti, purtroppo tutt’altro che rari, mentre le organizzazioni criminali commerciano indisturbate. Droga e prostituzione entrano in città dalla porta principale per rifornire la pressante domanda dei turisti, mentre il caos che si genera è il più grande alleato di borseggiatori e trafficanti di persone. Questi ultimi sono alla costante ricerca di ragazzine indigenti, insoddisfatte ed ingenue, cui basterà la promessa di una nuova e lussuosa vita per attirarle nella rete della tratta di persone. Le ragazze più esposti al rischio “reclutamento” sono quelle delle famiglie povere della periferia, mandate in centro per raccogliere tutta la plastica ed il vetro che riescono e che verrà poi rivenduto in cambio di qualche pesos.
In un’esplosione di fuochi d’artificio anche la feria di quest’anno si esaurisce, lasciando dietro di sè uno strascico di malinconia, odori maleodoranti e grandi contrasti. Si smontano le giostre, si contano i soldi. Il carrozzone di luci, musica e ballerine svanisce e la placida città industriale del Messico centrale torna ad uscire dagli itinerari turistici Smaltita la sbornia, la gente della periferia torna con passo esitante a lavoro. In una fabbrica della Nissan, di solito. Malinconici, tornano alla realtà quotidiana ed iniziano il conto alla rovescia per l’anno dopo.

 

Marco Dalla Stella, Volontario in Servizio Civile in Messico

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