Infinite ed impercettibili differenze: breve storia di un mercenario volontario.
Spesso basta un solo istante, un solo brevissimo momento per realizzare realmente il senso di tutto ciò che ti sei sforzato di capire per molto tempo. É in quel fugace attimo che si provano i sentimenti che rimarranno legati al ricordo, scolpiti tra le pieghe del tempo e che verranno rievocati ogni volta che quel ricordo tornerà a galla. Negli ultimi mesi ne ho vissuti parecchi di questi momenti.
Quando ho alzato lo sguardo e ho capito che stavo davvero facendo il colloquio per lo SVE alla sede dell’Engim di Roma: ansia ed entusiasmo...
Quando in una notte, verso le 3 mi resi conto che se non mi fossi lasciato alle spalle tutte le mie preoccupazioni, armandomi di fiducia e sfrontatezza, non avrei mai chiuso la valigia per partire: paura e determinazione.
Quando ero ancora sospeso in aria, avvolto dalle nubi ed iniziai ad intravedere boschi di eucalipto, terra rossa e prati verde smeraldo; stavo per atterrare a Quito. Strinsi la mano della mia compagna, seduta al posto accanto ed inspirai forte: eccitazione e coraggio.
Poi il tempo ha deciso di spingere l’acceleratore e tutto è girato vorticosamente verso il centro del mio cuore. Solo pochi giorni fa sono riuscito a rallentare questo decollo emozionale; ho respirato lentamente e guardando la fitta foresta amazzonica sulle colline ai confini di Tena ho capito: sono in Ecuador e tutti i giorni vado a lavorare al centro preventivo Ubaldo Bonuchelli, cercando di aiutare i poveri ed i bisognosi.
Ebbene sì, confermo di incarnare il classico stereotipo buonista del volontario all’estero: nel centro aiutiamo bambini e ragazzi da 4 a 16 anni, gli garantiamo almeno un pasto completo al giorno, li togliamo dai rischi e dai pericoli della strada e dalle disattenzioni delle famiglie, troppo povere o poco educate per accorgersi che questi ragazzi vanno stimolati, invogliati, accompagnati negli anni di vita della gioventù. Li aiutiamo nello studio, li coinvolgiamo in laboratori e corsi, li ascoltiamo nel momento del bisogno, giochiamo con loro.
Ma in realtà non è questo quello sto facendo tutti i giorni. Solo ora ho capito di aver preso parte all’ennesima conquista. Sto combattendo una battaglia figlia dell’Italia, dell’Europa, del nord del mondo e del capitalismo per conquistare (per l’ennesima volta!) il sud del mondo, rubando tutte quelle risorse che da molto, troppo tempo stiamo consumando e rigettando senza ritegno con il nostro erosivo e cupo stile di vita. Abbiamo rivoluzionato i nostri cuori, le nostre anime e le nostre azioni introducendo in esse un incessante e distorsivo processo meccanico, inaridendo ancor di più il nostro già infertile mondo interiore. Siamo tutti più ubbidienti, più falsamente contenti, più comodi, più efficienti, ed ogni giorno dobbiamo fare del nostro meglio per continuare questa falsa traccia.
Sempre più persone però percepiscono l’assurdità di questo vivere e si svegliano dall’incubo con occhi sbarrati e pieni di domande senza risposte. In un istante, in quel preciso momento ci si accorge di aver vomitato sulla propria natura umana, di aver sprecato tempo della propria vita, di aver ingannato la propria anima. Così si corre ai ripari e si riparte, con forza e premura, alla ricerca di sentimenti e saggezze perdute; spesso proprio in luoghi ancora non pervasi dal nostro malato stile di vita. Si spera di tornare a riscoprire emozioni e calore umano che nelle nostre società non sentiamo più, che è stato sostituito da freddure, lontananza, isolamento, individualismo.
Io faccio parte di un esercito, di un popolo portato alla disperazione, che tenta di conquistare sentimenti, modelli, valori e culture di altri popoli. La vana speranza è quella di ritrovare in questo bottino di guerra quello che noi, il popolo avanzato del mondo, abbiamo sperperato, consumato senza freno ed infine buttato via negli ultimi secoli di progresso. Siamo dei mercenari senza patria né padrone, mandati alla deriva dalle nostre malate ed ingorde società. Inconsapevoli di tutto questo sono i popoli invasi, che donano le loro risorse con amore ed altruismo solo perché non hanno ancora capito che questi doni possono avere un valore: economico, culturale, storico… Solo quando se ne accorgeranno si rivolteranno, si riprenderanno tutto ciò che gli è stato tolto, sancendo che è di loro diritto e purtroppo anch’essi prenderanno la strada dell’egoismo, dell’avarizia, della violenza.
Non so proprio come finirà questa ennesima battaglia umana, ma sono felice di farne parte! Questa è la mia vita e sto iniziando ad accogliere il mio ruolo con un po’ più di consapevolezza. Spero tanto di poter restituire il prezioso bottino incassato, fatto di sorrisi, amore, cultura e conoscenza, donandolo di nuovo a chi con tanto amore me ne ha regalato in quantità. Vorrei tanto imparare il loro modo di fare: aperto, fatto di bene assoluto, non meditato, a forma di dono senza il bisogno di ricevere nulla in cambio.
Quella del dono è una forma di baratto tanto gioiosa e semplice, che mette fuori discussione qualsiasi secondo scopo e malizia.
Solo in questi momenti di lucidità ho capito che le differenze tra noi ed i “paesi del sud del mondo” sono sottili, impalpabili. Se avessi davvero voluto aiutare ragazzi e bambini orfani di un genitore, con famiglie che spesso si dimenticano e sottovalutano le loro esigenze, che hanno bisogno almeno di un pasto sano e genuino al giorno, che necessitano di una educazione migliore, di una sanità migliore, di una politica sociale e di una società migliore, di un luogo più giusto in cui vivere… avrei fatto bene a rimanere in Italia. Di queste situazioni ne abbiamo molte nel nostro paese e sono in continuo aumento, sia in numero che in gravità.
Qual’è allora il vero motivo per cui sono qui? Perché mi spingo così lontano per trovare il confine della nostra epoca capitalista ed individualista? Forse non ci sono parole per descriverlo. Più probabilmente sono ancora troppo orgoglioso e pieno di me per capire le mie domande, che echeggiano in me ogni giorno di più, con crescente forza.
Ultimamente una parola mi sta aiutando a tracciare il percorso, sbagliato o giusto che sia, per la ricerca di quel confine. É un confine che solo se vorrò riuscirò a vedere, e se lo attraverserò molte cose potranno cambiare e trovare un nuovo senso.
Questa parola è Umanità, che è femmina, come la Pachamama, fertile di vita e di amore incondizionato. Quando tutti gli uomini e le donne di questo mondo inizieranno a comportarsi sentendo di farne parte, quando tutti faremo questa scelta, forse troverò le risposte che cerco. Fino ad allora sarò solo un volontario all’estero che non si rende nemmeno troppo conto di essere l’unico ad avere veramente bisogno di soccorso in questo mondo.
Paolo Rossi, Volontario in Ecuador con il Servizio Volontario Europeo
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