Testa, cuore e mucho amor!
Nella vita ci vuole testa, ma quante volte ascoltiamo il nostro cuore.... Molte persone pensano che seguire il cuore sia sbagliato, ma perché?
Sappiamo obbedire alle regole, leggi e istruzioni della nostra societá e poi ci incasiniamo per le emozioni; viviamo di limiti, di barriere, di muri per paura di non ferirci e cosí non viviamo.
Vivere significa soffrire, piangere fino a sentire il dolore che ti lacera le ossa, per poi ritrovare la gioia in un sorriso, in un abbraccio, in una qualsiasi cosa anche infinitamente piccola, ma che per te diventa magnifica.
Quando sono arrivata ad Aguascalientes, Messico, mi sentivo abbastanza forte da poter affrontare una situazione forse un po’ piú grande dei miei piccoli 20 anni. Arrivati alla casa, la mia nuova casa, per la prima volta sola, anzi con i miei compagni di servizio, ma con responsabilitá nuove, mi sentii persa. Sono passata dalla mia casa di campagna nella provincia di Verona, ad un appartamento, senza lavatrice, senza lavastoviglie, senza microonde, senza riscaldamento, senza aria condizionata e senza quasi un mobile, in una zona povera del Messico centrale.
I primi giorni, conoscendo la realtá dei bambini, mi si spezzava il cuore ogni minuto, ma con il passare del tempo, vedendo che con un semplice abbraccio, un sorriso, un dolcetto (quanto vanno pazzi per lo zucchero!!) o un tenero ti voglio bene i loro visi si trasformavano da tristi a felici mi risollevava l’animo.
La gioia dopo il dolore ti fa sentire libero, invincibile. E proprio in quel momento ti ricade il mondo addosso, questo é il bello della vita. Un giorno riesci a insegnare a un bambino a fare una sottrazione e il giorno dopo ti ritrovi a spiegargli per la centesima volta che 2-7 non si puó fare.
Ma d'altronde dietro alle sconfitte più grandi, ci sono le più grandi vittorie. Eh sí, la soddisfazione. Un’emozione bellissima, faticosa e per questo fantastica.
La soddisfazione di sentire Carol che non smette di chiederti di darle più compiti, di vedere Santi (5 anni) che impara a scrivere la “A” e la ” B”, di vedere Pepe che scrive i numeri fino al 300.
Nella vita spesso cerchiamo la strada piú semplice, per fare meno fatica, ma quando la vita ti sputa in faccia delle difficoltá che neanche potevi immaginare, lí devi trovare dentro di te una forza che neanche pensavi di avere, un coraggio mai tirato fuori e un’energia infinita.
Penserai di non farcela, di non essere all’altezza, ti sentirai inutile, incapace e chissá quante volte vorrai mollare, ma no. Chissá quante volte davanti a Miriam e Valeria vorrai implorarle di non litigare per una matita o chissá quante volte Bryan e Carlitos verranno all’apoyo iperattivi e ti tireranno il pallone in faccia mentre tu stai cercando di capire cosa gli hanno dato di compiti spiando i loro quaderni, chissá quante volte!
Credo che il servizio civile sia un aiuto importante per le comunitá dove andiamo, ma ancor di piú lo é per noi, giovani, con tanto amore da dare e pronti a riceverne ancor di piú!
Benedetta Procura, Volontaria in Servizio Civile in Messico
La bellezza di un semplice incontro
Ci sono appuntamenti e appuntamenti, ad ognuno la sua importanza.
Un gruppo di bambini che incontra un gruppo di anziani è un incontro di vita. La visita dei bambini del centro educativo “Leonardo Murialdo”, di Hermosillo, alla casa di riposo “Mezon Don Bosco” è stata un'iniziativa di condivisione e solidarietà.
Consegnata la raccolta di alimenti per la struttura e le belle farfalle colorate costruite per gli anziani, i bambini avevano già colonizzato stanze e cortili. Spontaneamente auto-organizzati quei piccoli uomini erano divisi in gruppetti a fare domande e ascoltare le storie dei signori. Incuriositi e interessati correvano a chiamarmi “Maestra, maestra, vieni devi conoscere el abuelo Jesus”, un altro “maestra vieni ad ascoltare Martin, è stato in guerra per il nostro Messico”.
C'è magia in quest'incontro, quei ninos sempre così scalmanati oggi così intenti ad ascoltare. Si sentono responsabili nel regalare sorrisi, attenzioni e compagnia per un giorno.
TI SEI FATTO STRANIERO E TI HANNO ACCOLTO
Accogliere, essere accolti, reimparare, servire e credere.
Troppo spesso ormai si sente parlare di accoglienza, di immigrazione, di integrazione. Tutti temi scottanti, che fanno scaldare gli animi, temi che per molti sono motivo di rabbia, di critica, di incomprensione. Tutti i popoli sono stati migranti, ma non tutte le genti sanno anche solo immaginare che cosa significhi essere stranieri. Che cosa significa allora farsi straniero? Non si è di certo stranieri quando si parte in vacanza per un paese esotico, e non si è stranieri nei panni del turista, piuttosto, lo si è quando ci si ritrova completamente immersi in una cultura talmente lontana che a tratti sembra di essere salito su una macchina del tempo, lo si è quando ci si ritrova a mille miglia lontano da casa, dai volti conosciuti, dai modi di fare familiari, dalle proprie abitudini, dalla propria cultura, lo si è quando l’unico a conoscerla sei tu. Si è stranieri quando ti capita di capire che i discorsi che fai con le persone vengono interpretati, alle volte, in maniera così diversa che sarebbe difficile persino raccontarle, queste maniere.
Ahorita llego!
Marzo e la primavera, più che altro l’estate.
Il caldo non da tregua, alcune volte “llega el fruente frio” dicono, parliamo di una ventina di gradi. Temperature a parte questo mese mi ha fatto un regalo bellissimo. Non è quantificabile, non è spiegabile a parole, non so se posso disegnarlo.
Sono quattro mesi che vivo in Messico, un terzo del tempo che passerò qui, 121 giorni di emozioni grandi, violente, inaspettate, dure alcune volte. Ho voglia di tirare le somme e raccontarmi un po’, giusto per raccogliere le idee.
Sono Arianna, ho 24 anni e vivo in America, nel cuore del deserto di Sonora, città di Hermosillo.
Qui mi innamoro della vita all'incirca 24 volte al giorno, sì, tante quante sono le ore di un giorno. Perché qui ogni ora succede qualcosa di inaspettato e imprevedibile: la vicina di casa che ti prepara un panino quando torni, stanca, dalla giornata di lavoro, i bambini che ti regalano un fiore alle tre del pomeriggio e te lo richiedono indietro alle quattro “perché è troppo bello maestra, devo portarlo a mia nonna”, Padre Livio che ormai non parla più italiano ma alcune volte usa parole in dialetto piemontese, Martin, il signore delle tortillas che ogni mattina ti chiede come stai, se hai mangiato, se vuoi una tortilla de harina o de mais, ma si risponde da solo, “porque claro, a ti gusta de harina, güera” (aggettivo che qui usano per le persone con la pelle chiara).
PICCANTE CON GHIACCIO, POR FAVOR!
Hai mai pensato di poter esser drago?
Immagina di aver una fucina nello stomaco.
L'esofago incandescente conduce alla faringe.
Qui, grazie all'aria introdotta dalla bocca, nasce il fuoco.
Il miracolo Prometeico racchiuso nella tua gola.
Fiamme ardenti ed indemoniate, strangolano la lingua e si stagliano tra i denti in cerca di libertà.
Se ora ti avessi di fronte, caro nemico, mi basterebbe un soffio per carbonizzarti.
Ridurti a brace da calpestare.
Poi cenere da disperdere e dimenticare.
Ma, siccome non ho nemici, mi limiterò ad ordinare un altro tacos con salsa di Chile cerrano della Señora Rosario.
Si vergognano a mostrarsi interessati.
Curiosi.
Capaci.
Intelligenti.
Quando, per errore o distrazione, catturi il loro entusiasmo, improvvisamente si spaventano e come tartarughine grinzose si nascondono nei loro carapaci quasi inespugnabili.
Quasi.
Ed io vorrei solo poter cucire una cerniera lungo il loro petto.
Così: facile da aprire e da chiudere.
Dal villaggio alla baraccopoli: storie di servizio civile in Kenya
Dopo aver vissuto circa quattro mesi a Siongiroi, un piccolo villaggio di capanne in Kenya, grazie alla nostra organizzazione abbiamo potuto scoprire un'altra parte di questo bellissimo paese. L'occasione è stata la missione di monitoraggio del Direttore e della nostra responsabile paese in Italia. Durante il viaggio ci siamo resi conto di quanto ci eravamo già affezionati al nostro villaggio, anche se effettivamente i disagi (per non chiamarla povertà) non mancano. Non è il tipo di povertà che si trova nel cuore di una persona, che banalmente si può definire infelicità, ma semplicemente quella causata dalla mancanza di beni primari come acqua, cibo, vestiti.... Anche a fronte di tutti questi problemi, Siongiroi ha una ricchezza di valore inestimabile: il sorriso che non si spegne mai sui volti dei bambini.
Tre facili mantra per affrontare al meglio un anno da cooperanti e uscirne tutto sommato bene
Vivere all’estero non è, di per sè, qualcosa di realmente difficile. Solitamente si risente più della diversa alimentazione, a cui siamo culturalmente portati a legare i nostri affetti ed i nostri ricordi, che delle differenze linguistiche e culturali. Farlo però all’interno di un’esperienza di cooperazione allo sviluppo, e soprattutto farlo con il servizio civile, porta con sè una serie di problematiche e difficoltà speficiche ed insolite a cui pochi volontari in procinto di partire sono “pronti” (a meno di non aver già un bel bagaglio di esperienze pregresse).
Questo accade principalmente per due ragioni. In primo luogo, il paese/città/quartiere in cui il volontario si trova a vivere è di solito un’area del mondo che si definerebbe “povera”, o “problematica”. In cui cioè mancano in parte o del tutto alcune delle comodità a cui un ragazzo bianco europeo, nato durante gli anni del boom economico e poi laureatosi a pieni voti non ha mai, probabilmente, dovuto rinunciare. Di queste solo alcune, le più banali, sono di natura materiale. La maggior parte delle rinunce che si dovrà fare avrà a che vedere con la sfera dei servizi e delle libertà personali, comportando perdite talvolta consistenti sui propri standard in materia di facilità di spostamento, accesso alle cure mediche, gestione del tempo libero, etc.
Ovviamente, la quantità e la qualità delle rinunce da dover effettuare sarà diversa a seconda del Paese e della città di destinazione. Ciò nonostante, potrebbe non essere semplice abituarsi a vivere secondo standard diversi, ma che verosimilmente sono quelli del 99% dell’umanità.
Altre difficoltà avranno a che fare la natura del servizio che il volontario sarà chiamato a svolgere. Se a volte è difficile “inquadrare” dall’Italia la figura ed i compiti del cooperante, questo potrebbe diventare impossibile una volta giunti sul posto. Lavorare in contesti in cui le contingenze quotidiane sono spesso le uniche che si riesce ad affrontare significa infatti anche doversi muovere nell’improvvisazione e nella non chiarezza, nel disordine e nell’ambiguità.
Pensando dunque ai volontari che partiranno per esperienze simili pensato di scrivere i tre mantra che mi sono stati di aiuto durante il mio anno di servizio civile. Non si tratta di regole fisse e ve ne saranno sicuramente altri. Nel dubbio però vi consiglio di scrivervele su un foglio da tenere sotto al letto.
1. Prendersi il proprio tempo E’ vero, un anno passa in fretta, ma non in fretta. I primi 3-4 mesi serviranno per capire dove si è e con chi si ha a che fare, cosa si aspettano che facciamo e quali sono i rapporti di potere e mettere a punto la lingua con qualche modismo locale che, sorpresa, aprirà più porte di quante si potrebbe pensare. Sperimentare è la parola d’ordine e prendersi un po’ di più tempo all’inizio potrebbe rivelarsi fondamentale per ottimizzare il lavoro nei mesi che seguiranno.
2. Non dipende tutto da noi Il progetto esisteva prima del nostro arrivo ed esisterà (ci si augura) anche dopo che ce ne saremo andati. L’apporto del cooperante sarà un mattoncino in più in una grande torre di djenga, in cui la cosa che più conta è trovare il punto strategicamente più importante per stabilizzare la costruzione. Diversi fattori potrebbero tentare il cooperante di farsi carico di più problemi di quanti sarebbe lecito aspettarsi, correndo così il rischio di sovraccaricarsi di responsabilità, aspettative e stress. Un’oculata gestione delle energie è quanto mai necessaria.
3. Possiamo fare molto più di quanto crediamo Speculare al matra precedente, ci ricorda di non sminuire le proprie capacità né le possibilità di dare un contributo piccolo ma decisivo. Statisticamente, è probabile affrontare un momento di crisi in cui il progetto sembrerà una chimera e la vostra presenza sul luogo del tutto superflua o perfino non gradita. Prendere coscienza che tali situazioni non sono delle eccezioni nel vasto e complesso mondo della cooperazione, quanto piuttosto la normalità, propizierà un cambio di prospettiva necessario per trovare il proprio ambito in cui contribuire. Le doti di resilienza saranno messe a dura prova, ma ne sarà valsa la pena.
Marco Dalla Stella, Volontario in Servizio Civile in Messico
La Fiera del Messico
“¡Ya te va a tocar la feria!” (presto ti toccherà la fiera) è una delle frasi che, da quando sono ad Aguascalientes, mi sono sentito ripetere più spesso. La persona che la pronuncia solitamente lo fa con veemenza, travolgendomi con il suo entusiasmo. Di solito la conversazione si conclude con pacche sulle spalle e inviti a bere assieme. “Puro desmadre, güey”: sarà il caos più totale.
La feria in questione è quella di San Marcos, un santo particolarmente sentito anche dalle mie parti. Il leone alato dell’evangelista è infatti il simbolo della mia regione e dell’Università in cui mi sono laureato, nel lontano (?) 2013. A questo aggiungiamo che dall’evangelista sepolto a Venezia prendo il nome, e che nella città e nella via in cui ho vissuto negli ultimi due anni il 25 aprile, giorno dedicato al santo, ha un sapore del tutto speciale. Mi sono dunque avvicinato all’importante evento con un misto di fatalismo e rassegnazione, pensando che dopotutto non potrà essere una festa molto diversa di altre rassegne popolari a cui ho assistito. Mi sbagliavo.
Se un pomeriggio di primavera un pagliaccio… Un’esplosione di colori nella scuola rurale di Ouerjijen, Médenine.
Che succede se un giorno all’improvviso un pagliaccio entra in una scuola? Una scuola “rurale”, come chiamano qui le scuole dei villaggi che circondano la città di Médenine, scuole semplici, piccole, con pochi strumenti e poche risorse. Scuole i cui bambini non sono probabilmente mai usciti dal villaggio, provenienti da famiglie che vivono senza troppi mezzi, bambini che giocano per strada, anche con la calura estiva che inizia a farsi sentire, e che non hanno troppa confidenza con computer e smartphone. Allora, cosa succede se un giorno un pagliaccio entra all’improvviso in una di queste scuole? Semplice: una rivoluzione, una festa, un’allegria incontrollabile! Uno stupore e una gioia così genuini negli occhi dei bambini, quando, di soppiatto, questo energumeno dai vestiti stravaganti e la faccia pitturata entra in classe..
ACQUA: BENE PRIMARIO PER L’INTERA UMANITA’
Siamo fatti da circa il 70% di acqua ed il nostro fabbisogno giornaliero si aggira intorno a 2 litri al giorno che moltiplicato per 10.000 abitanti quanti litri fa? E soltanto per bere, non consideriamo il fabbisogno legato alle altre fondamentali necessita'.
A Siongiroi l'acqua non c'è, è poca, è acqua piovana...è sporca. I bambini della scuola ogni giorno, nel pomeriggio intorno alle 16.00 si recano ad una pozza dove anche mucche ed asini si serviranno per bere ed urinare, e con i loro bidoni di plastica gialla prendono la loro acqua e la portano al campo dove la utilizzeranno per lavarsi e per lavare i propri vestiti. L'acqua ha un colore marrone, eppure lavano. L'acqua ha un odore nauseante, eppure non lo sentono. L'acqua, bene primario per un'umanita' intera qui, in una natura che esplode con tutta la sua forza, sembra un miraggio lontano. Dei ricchi e' privilegio averla pulita, mentre centinaia di bambini la condividono con mucche ed asini e si precipitano sotto la grondaia di un tetto a raccoglierla quando piove nel loro bicchiere, per dissetarsi un po'...
L'acqua che scorre dal rubinetto di casa a giorni alterni, di un colore giallino misto ad un marrone a tratti scuro come la mia pelle che sembra essersi adattata ad un odore nuovo. Un odore di cui sono ormai impregnati i vestiti che lavo nella speranza di ripulirgli via la polvere ma con la stessa acqua che veramente pulita forse qui mai ci sara'...cosciente che al ritorno a casa mi sentiro' una straniera in mezzo a profumi troppo forti per le mie narici, osservo questa nuova realta' con occhi spalancati come una finestra che si apre su un orizzonte nuovo diventato ormai quasi normale.
Daniela Romano, Volontaria in Kenya con il Servizio Civile