Una grande famiglia in mezzo ai campi
Greaca. Un paesello con in mezzo a distese immense di campi coltivati e nuda terra arata. Otto chilometri dal Danubio e dalla Bulgaria, una cinquantina dalla capitale Bucarest. E’ uno di quei posti, forse, per me un po’ anonimi, lontanissimi dalle mie realtà, dalle mie idee, dalle mie ambizioni, dalle mie fantasie. Non mi direbbe un granché.
Mi piace spesso fermarmi a immaginare cosa potrebbe stare succedendo in questo istante dall’altra parte del mondo, o altrove, in posti che non conosco e che non posso raggiungere, in ambienti e realtà che la mia fantasia neanche può creare in tutti i suoi particolari; mi sforzo di immaginare chi ci sia e cosa stia facendo là, in quell’attimo. Magari cose assolutamente innocue, semplici, quotidiane, banali, di quelle alle quali non si fa caso…
Una vecchia signora (una baba!) dal foulard floreale in testa, calzettoni, gonnellona, maglia leggera di lana, seduta di fronte a casa sua e al suo giardinetto pieno di tulipani, un po’ assopita per il vento che soffia di continuo e che ti leviga la pelle e i pensieri, ogni tanto accenna a un movimento, a un risveglio, alle poche macchine che ogni tanto sfrecciano nella campagna soleggiata e altrimenti silenziosa se non per qualche canzone manele che proviene da uno dei pochi baretti del villaggio, qualche vecchio trattore dal motore borbottante…
Beh, in quel sogno ad occhi aperti ci sono dentro ora, non più uno dei tanti e non è facile rendersene conto, e anche un po’ assaporare tutto questo. Viviamo in una grande casa al centro di un terreno, dove altre tre casette ospitano, in tre famiglie, 22 bambini e ragazzi dai 3 ai 19 anni che hanno la fortuna di aver trovato dei nuovi genitori che hanno deciso di dedicare la vita a loro, aiutati dall’Associazione Saint Stelian. Tutto qui gira intorno a loro: dagli spazi aperti, ai giochi nel prato e agli interruttori della luce situati molto in basso, oltre che montagne di vestiti da lavare nella lavatrice e scarpe distrutte, ciabatte colorate di ogni misura lasciate fuori dalle porte di casa. Persino i gatti e i cani sono trovatelli, adottati in questa grande famiglia.
Le primissime sensazioni sono state queste: chissà perché proprio questi bambini e ragazzi, in questo posto, che si potrebbe dire un po’ sperduto, hanno incrociato la mia esistenza? E subito dopo: lasciarli sarà difficile. Già dalle primissime ore insieme, io e Rosy (l’altra volontaria), abbiamo iniziato ad affezionarci come nuovi fratellini e sorelline da accudire. Jeans squarciati già il primo pomeriggio giocando a pallone; infangati dopo una giterella offroad dove siamo rimasti infossati con la macchina per un’ora; pomeriggi e giornate intere di solo gioco sotto il sole, col freddo del vento che soffia perennemente, giochi nuovi che poi ritornano ciclicamente, segno di anni passati a inventarne; imparare dalle mamme che, per mangiare la ciorba, non ci si può inzuppare il pane dentro, ma prima lo devi mettere in bocca e solo dopo puoi infilarci il cucchiaio di ciorba. Perché poi? Fin da quando sono arrivato, una cosa che sto imparando è che certe cose sono così e basta. Non c’è da chiedersi perché, si fa così, è semplicemente “così” e non in un’altra maniera.
Da quelle più piccole a quelle più grandi. Bisogna prendere le cose così come sono.
Se da una parte ringrazio che ci sia ancora un mese davanti, dall’altra mi dico che è “solo” un mese. Mi chiedo cosa ne sarà di questi bambini, che posto occuperemo noi per loro una volta partiti. Avranno la loro vita, chi continuerà a studiare, chi andrà a vivere nelle grandi città e troverà un lavoro… Per ora ci sono solo sogni, non c’è bisogno di pensare al futuro: chi vuole fare la cantante, chi la sportiva o la parrucchiera, chi è più pratico e preferisce la nuda terra da coltivare, e così via. Greaca è la loro casa, è il posto che amano di più, lontano dalla vita trafficata della moderna Bucarest, con i divertimenti, i taxi, i palazzi, i negozietti di covrige a ogni angolo. Una discoteca, la polizia e la chiesa nella stessa piazzetta bastano. E’ così per tutti i bambini a cui l’ho chiesto, persino per uno dei due ragazzi con difficoltà mentali che durante la settimana frequenta una scuola speciale a Bucarest e che mi chiama “Tati”(papi).
Non c’è ancora un “passato” da rivangare, come quello crudo di un abbandono, di una situazione familiare difficile alle spalle, di un padre alcolizzato o genitori che sono venuti a mancare, e nemmeno un futuro da afferrare verso cui proiettare se stessi. Si può solo sognare, ma vivendo adesso, qui, nella loro Famiglia. Così sono i bambini, fissati nel presente: un attimo si prendono a schiaffi e calci, e il momento dopo sono di nuovo a giocare insieme, si dimenticano e lasciano correre. Lo costatiamo ogni giorno. E c’è solo da imparare.
Così anche noi, come mi ha scritto Martina su whatsapp da Panciu: “siamo un puntino nelle vite questi bimbi, ma spero un bel puntino!”. Non c’è un “tempo”, un periodo definito, da vivere qui. Ora siamo qua, questo è il tempo, sia che resteremo in contatto con questa realtà, con queste persone, oppure ci si perderà. E’ questo che impreziosisce la vita qui. Spero di poter regalare e ricevere ancora molto da Greaca.
Gabriele Marano, Volontario in Stage con il Progetto JAM - Regione Piemonte
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