Volontari
3Giu/140

L’indiscreto fascino del barrio

Il mio padrone di casa si chiama Claudio, ma qui lo chiamiamo il Don, sarà per quel cappello da vaquero e per i baffi che rimandano ai film western degli anni sessanta, sarà perché qualche reminescenza latina ti porta a pensare che sia davvero l’appellativo giusto per chi gestisce tre attività e ha contatti politici che hanno portato l’elettricità nel quartiere.

Qui non c’era niente prima, case di cartone in mezzo alla terra, tutto buio, l’acqua durava un paio d’ore la mattina e la gente la conservava in grosse taniche che portavano insetti, fossi venuta l’anno scorso non l’avresti riconosciuto questo posto, poi siamo arrivati noi, mia moglie ha lavorato nella campagna elettorale del PAN- il partito conservatore- e per ringraziarci dei voti che gli abbiamo portato hanno asfaltato le strade, messo i lampioni e costruito un sistema idrico, c’è anche una targa che lo ricorda, è fissa li sul marciapiede..

Targa commemorativaLa targa c’è davvero, e anche i lampioni. Ladrilleras è un barrio che qui definirebbero di pura orilla, un quartiere nato come periferia della periferia. E’ stato sempre Don Claudio a spiegarmi il fenomeno delle invasioni: migranti provenienti da altri stati confinanti, come lo Sato di Sinaloa, si stanziarono su terreni privati occupandoli insieme alle loro famiglie, un problema economico sociale che la città di Hermosillo affronta da più di 40 anni e che nessuna municipalità è riuscita a risolvere. Quartieri come Ladrilleras nascono così, figli delle invasioni. Capanne di cartone che negli anni diventano casette di fantasia, dove la scienza delle costruzioni è un’opinione, dove mattoni, pietra, legno, lamina e plastica danzano insieme ma è sempre il cemento a farla da padrone. Qualcuno è riuscito a costruire con criterio, ma sono in pochissimi e rispetto agli altri sono ricchi, anche in un quartiere di poveri c’è chi sta meglio degli altri. E per questo si notano di più.

Ricchezza qui significa avere una bella macchina e non vivere in una casa di cartone. Ricchezza qui significa molte cose, e un’occidentale si stupirebbe nel sapere cose invece qui significa povertà. Una famiglia del quartiere è composta in media da sei membri, non sono rare le famiglie allargate e il concetto di badante qui non esiste. Qui la cura dei membri familiari è totalmente nelle mani delle mamme, super donne che dimostrano molti più anni di quelli che hanno, perché la fatica non ha perdonato i loro volti e i loro corpi. Ogni giorno, da quando sono qui, ho ascoltato le storie delle mamme che orbitano quotidianamente intorno al pianeta del centro educativo San Leonardo Murialdo. I loro mariti guadagnano, nella media, 700 pesos a settimana che sono all’incirca 165 euro mensili. Sonora è uno degli Stati più ricchi del paese: basandosi su uno studio del 2012 del Consejo Nazional de Evaluacion de la Politica de Desarrollo Social – il Consiglio Nazionale per la valutazione delle Politiche di Sviluppo- la percentuale della popolazione sonorense che vive in stato di povertà è del 33.8%1 ed Hermosillo è uno dei municipi con la percentuale più alta: il 26% circa dei suoi abitanti vive in stato di povertà, ed è una percentuale in crescita. Gli indicatori di povertà fanno riferimento ai diritti sociali e alla qualità della vita, accesso alla salute, all’alimentazione, all’acqua, all’educazione.

Tra tutti gli indicatori, il più grave rimane quello relativo all’educazione. Le scuole che ho visitato durante la mia permanenza rispondono a un rapporto studente docente 60/1, e l’influenza statunitense ha fatto il resto. Gli standard qualitativi fissi nella mente degli abitanti di Hermosillo rispondono infatti a ciò che gli Usa mostrano attraverso la televisione o con le pubblicità dei  prodotti che importano. Ho parlato con più di una persona convinta che bere Coca Cola fosse  salutare o che mangiare il gelato alla frutta fosse dietetico perché teoricamente fatto di frutta. L’acqua non è una bevanda dissetante, nessuno la beve. Nessuno tranne noi stranieri e i bambini che non possono comprarsi una soda. Le persone che ho conosciuto attraversano la frontiera per comprare i vestiti nel nord America perché “sono migliori” quando le fibre migliori provengono dal loro paese, ma lo ignorano. Così una camicetta di poliestere diventa migliore di una di cotone solo perché viene dall’altra parte. Quotidianamente aiuto i bambini a fare i loro compiti, e su una classe  di 14 unità almeno 10 bambini all’età di dieci anni non sanno né leggere né far di conto. Lo Stato investe sull’educazione, ma non lo fa nella maniera adeguata. I bambini del centro educativo ricevono giocattoli e volontari che gli spiegano come combattere il bullismo, computer portatili e materiale didattico, ma è proprio la materia prima a mancare. Non si investe sulla docenza, e, ancora peggio, non si investe sulla qualità della docenza. E i volontari non possono certo sanare un problema le cui radici affondano nella cattiva distribuzione della ricchezza.

Qualche giorno fa ho ripreso l’alfabeto e le tabelline dal programma della primaria. Ho insegnato a tutti i bambini della mia classe a scrivere bene il loro nome. Insegnare è difficile, insegnare richiede molte energie quando hai a che fare con dei bambini come quelli della colonia Ladrilleras. Non è semplice. Alcuni gridano, altri si picchiano, non riescono a stare seduti, vogliono andare a giocare, colorare. Maestra lasciaci giocare è noioso questo compito.. non riuscivo proprio a capacitarmi delle loro difficoltà. Non riuscivo a capire come fosse possibile non conoscere a dieci anni il concetto di verbo al presente, di prima seconda e terza persona, di uno per uno, non sapevo se arrabbiarmi o piangere, se iniziare a correre come Forrest Gump per non pensare e arrivare correndo alla frontiera, magari mi avrebbero seguita i bambini e a un certo punto mi sarei fermata anche io come Tom Hanks senza pesi sul cuore.

Invece è arrivata Evelin in mio soccorso. Nella chiassosa classe in cui mi trovavo mi si è avvicinata e mi ha chiesto di insegnarle a fare lo spelling in inglese. In meno di un’ora abbiamo imparato insieme l’alfabeto inglese e a sillabare parole molto lunghe. Educatamente mi ha ringraziata e mi ha chiesto se potevamo studiare insieme ancora qualche altra volta. Ho sorriso tutto il resto del giorno.

Mi sono commossa quando ho ripensato a quanto facilmente ha fatto lo spelling del termine “University”. Ho ripreso fiducia nell’insegnamento.
Qualche giorno fa ho visitato una casa famiglia. Hermosillo ne ha diverse e tutte ricevono fondi pubblici e privati. La direttrice era entusiasta di questa italiana pelle di latte che veniva a far domande. Mi ha mostrato orgogliosa la cucina pulita e tutta la struttura. Mi ha raccontato le storie da film horror dei ragazzi che ha accolto, povere creature continuava a ripetermi. Il suo gran cuoreperò è tornato piccino quando ha scoperto che avrebbe dovuto pagare le medicine di una di queste povere creature necessitanti di terapia psichiatrica.
Non posso tenerli tutti, non ci sono soldi, lo manderò in un altro istituto.. Ma continuava a sorridermi mentre lo diceva, non poteva crederci che vivessi alla Ladrilleras, ma quello è un postaccio, pieno di drogati e delinquenti, ma che ci fai tu li, perché vivi li.. Tutto con un bel sorriso stampato in volto, lei che conosce bene la gente del barrio, lei che delle disgrazie altrui ne ha fatto un mestiere, lei che ha imparato i nomi dei bambini in corrispondenza a un numero.

E’ vero che Ladrilleras è un postaccio, quelli che qui chiamano cholos ovvero i tossici sono lo sfondo del quadro, i bambini vengono al centro e per farlo attraversano queste strade piene di persone che sniffano colla e delirano sotto il sole. Ma per loro è normale. Per loro è normale assistere a una sparatoria e raccontarla come una giornata di shopping a mangiare cotenna di maiale fritta bevendo aranciata. Per loro è normale avere dei genitori con il vizio del bere o con il vizio della violenza. E’ normale dividere un letto in cinque, o in sei, se si può. Dormire per terra.

Veduta strada Colonia Ladrilleras

Posso accettare tutte queste affermazioni perché ne sono testimone. E’ vero. Ladrilleras è un postaccio se per postaccio si intende un posto con una bassissima qualità della vita e con poca sicurezza. Ma faccio fatica a trovarmi d’accordo con chi mi mette in guardia dalla gente. Ho
conosciuto gente valida e bambini che potrebbero insegnarmi il mestiere della vita. Qui tutti mi salutano con un abbraccio caloroso e la barriera che noi occidentali abbiamo innalzato gli uni con gli altri per loro non è mai esistita. Qui tutti mi hanno offerto aiuto, mi hanno accompagnato a visitare la comunità sotto il sole cocente, mi hanno prestato ventilatori, insegnato i modismi dell’hermosillense e invitato a mangiare il cibo tipico, facendo lo sforzo di trasformarlo invegetariano per questo brutto vizio che mi porto dietro da quando sono piccola, quello di non mangiare carne. Mi hanno fatto sentire parte delle loro famiglie cancellando i chilometri che mi separano da casa.

Posso capire che per molti questo angolo di città sia un punto oscuro, lo leggo negli occhi delle persone quando dico loro dove si trova il monolocale che sto affittando. Posso capire anche la paura che infondono i giovani della strada e il non volersi fare carico di un problema sociale in stadio così avanzato. O il volerlo fare alla larga.

In questi due mesi per esempio ho visto il centro ospitare famiglie benestanti e scuole facoltose. La beneficienza è parecchio incentivata dallo Stato e dalla chiesa: per esempio le donazioni che riceve il centro sono quotidiane, anche se fatte di piccole cose. Le ragazze del collegio irlandese portano ogni settimana buste piene di dolci e patatine, insegnano il Rosario, ma non riescono ad abbracciare nessuno di questi bambini perché temono il loro sudore. Alcune lo fanno per poi lavarsi le mani con il gel igienizzante. E le famiglie che vengono e organizzano feste, rendono i bambini felici per unm pomeriggio ricevendo in cambio fotografie che useranno per una probabile campagna elettorale.

Non so come affrontare qualcosa che in fondo mi spaventa. Mi spaventano le buone intenzioni delle persone mascherate da secondi fini, anche se qualcosa di buono ci dovrà pure essere in questo mondo. A parte i bambini. Perché loro non possono capire tutte queste cose, dovremmo essere noi a tutelarli, io dovrei tutelarli. E qui si genera il mio sentimento di impotenza e frustrazione, quando realizzo che ho ben poche possibilità di cambiare le cose.

Mentre scrivo tutto questo mi si avvicina Angelito, a lui interessa solo giocare correre e abbracciarmi, e forse ha ragione. Che importa tutto il resto quando possiamo giocare per un pomeriggio intero e non pensare. Per fortuna un bambino così piccolo ha il potere di togliermi dalle spalle un peso così grande.

Lelia Zangara, Ricercatrice in Messico con il Programma UNICOO dell'Università di Torino

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