Kassack Nord, Senegal, 05/06/2024
Il momento dei pasti qui in Senegal, anche a distanza di molti mesi, rimane qualcosa di speciale ai miei occhi. Seduti, inginocchiati, accovacciati attorno alla grande bol, c’è chi aspetta che il coperchio venga sollevato con il cucchiaio stretto tra le dita e chi con la mano destra, ancora gocciolante di acqua, ben sollevata da terra.
Uomini e donne, la maggior parte delle volte, mangiano separati mentre i bambini più piccoli si posizionano accanto alle loro mamme. La differenza di come si svolge questo momento tra l’Italia ed il Senegal non risiede solo nel fatto che si mangi a terra, o che si mangi spesso con le mani (ovviamente sono le cose più evidenti a primo impatto) ma nei piccoli gesti e abitudini che animano il pasto.
Nessuno urla un “è pronto!” o “a tavola!”, ma, nonostante ciò, le persone arrivano, una dopo l’altra, quando ciascuna ha terminato le proprie mansioni che la tenevano occupata fino a quel momento. Se manca qualcuno lo si aspetta, senza borbottii né grida di richiamo, sapendo che basterà attendere un po’ ed arriverà.
Per pranzo è veramente raro non trovare quello che in Wolof viene chiamato “thiéboudiène” o “maro lidi” in Pular, ossia del riso accompagnato da pesce e alcune verdure. Considerato il piatto nazionale, nei miei dieci mesi di permanenza qui mi è stato chiesto innumerevoli volti se mi piacesse e, ad ogni mia risposta affermativa, non sono mai mancanti i sorrisi di fierezza sui volti senegalesi.
Ed è quando ti metti attorno ad una bol (piatto) con delle donne senegalesi, lì inizia lo spettacolo. Raramente le donne del villaggio mangiano con il cucchiaio, per questo prima di mettersi a sedere le si vede lavarsi la mano destra in una piccola bacinella posta affianco al piatto. Attenzione: qui si mangia rigorosamente e solamente con la mano destra! Anche il più mancino dei mancini, anche un bianco, dovrebbe rispettare quest’usanza perché la mano sinistra è quella con cui ci si lava una volta fatti i propri bisogni, quindi associata a qualcosa di sporco.
Quella che io chiamo “danza delle dita” inizia con il raccogliere nel proprio palmo il riso, il quale deve essere ben appallottolato e compattato così da formare una piccola pallina pronta da essere portata alla bocca; ecco che allora le dita corrono agili sul bordo della bol per raccoglierne rapidamente una piccola quantità o che si allungano verso il pesce posto al centro per staccarne un pezzo.
Devo ammettere che mangiare con le mani inizialmente non è stato facile: io e Luca, l’altro volontario, ci scambiavamo delle rapide occhiate mentre cercavamo con tutte le nostre forze di creare una pallina di riso minimamente compatta.
“Ma come fanno?” era la domanda tipica che ci bisbigliavamo mentre i nostri abiti raccoglievano tutti i chicchi caduti.
Per non parlare di quando, tutt’ora, devo cercare di stringere del riso ancora bollente tra le dita: “ene wolli” (è caldo) mi avvertono ogni volta le donne con un leggero riso sulle labbra mentre notano la mia palese difficoltà nel maneggiare il cibo, differentemente da loro, perfettamente abituate.
Descrivere i movimenti che ciascuna compie con le proprie dita durante il momento del pasto è qualcosa di davvero complicato ma in quei gesti agili e quasi ritmici io riesco vedere l’insieme delle cose vissute qui.
Seduta a terra, con la mano piena di chicchi, con la bocca che alle volte ancora brucia per il piccante, lancio delle rapide occhiate alle donne con cui sono seduta: nei loro “Sara, niam!” (Sara, mangia!), nelle loro mani che mi offrono un pezzetto di pesce, ma anche nei loro silenzi pensierosi, io mi sento in famiglia.