Volontari
10Mar/140

Il mio Sve a forma d’ovale

10Mar/140

ep. 6 – i tempi morti, i libri e la sovversione

Nel vecchio continente non è così raro vedere qualcuno con un libro in mano, che legge. Niente di cui stupirsi. A volte si cede all’irresistibile tentazione di sbirciarne il titolo, e può capitare di imbattersi in qualche volume dei cari Volo o Moccia, o nelle 50 sfumature del colore del momento. Si storce il naso, ma niente di più.
Quì in Messico, o per lo meno ad Aguascalientes, dove un testo classico costa almeno come cenare fuori, invece è qualcosa di insolito, sovversivo forse. Un momento vuoto, tiri fuori il libro ed inizi a leggere. Bambini e ragazzi ti guardano a volte ti chiedono con tono sorpreso se ti piace molto leggere. Esistono progetti, iniziative di promozione alla lettura, ma forse quello che meglio continua a funzionare è il pure esempio: ultimamente, mi capita infatti che seminaristi mi chiedano libri in prestito, che un ragazzino dell’Apoyo – dopo avermi raccontato con soddisfazione di essersi iscritto alla biblioteca di quartiere, mi chieda di consigliarli qualche bel titolo adatto a lui (e intanto inizia a leggere la ‘Divina Commedia’).

Gocce nell’oceano, soddisfazioni personali.

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Biagio Grillo, Volontario in Messico con il Servizio Volontario Europeo

10Mar/140

Pedalando verso la tradizione…

Qualche settimana fa sono partito per Bubaque, sull’arcipelago guineense delle Bijagòs, un insieme di selvagge e lussureggianti isolette al largo di Bissau in compagnia di Seminario, un ragazzo del luogo che mi ha accompagnato alla scoperta dell’isola e delle sue tradizioni...

10Feb/140

Soñando por el cambio!

Sono qui in Ecuador da poco più di quattro mesi, in passato sono stata in altri paesi lavorando in realtà difficili, con persone sieropositive in Tanzania, rifugiati politici in Etiopia o pescatori nomadi in Vietnam, ma qui é tutto diverso...

27Gen/140

Sono io che mi piego all’Africa…e ne sono felice!!!

Varela

Il mio sogno, da sempre, era l’Africa. Quando ero piccola chiedevo sempre a mia madre di adottare un bambino africano, volevo un fratellino. Al mare, diverse volte, con ben due frigoriferi pieni di bibite, siamo rimasti senza acqua perchè io offrivo tutto ai senegalesi che passavano in spiaggia (tuttora lo faccio) e appena potevo, acquistavo qualcosa, li invitavo a sedersi sotto il nostro ombrellone e a raccontarmi chi fossero, da quanto tempo stessero in Italia ecc. Ero così attratta dal loro mondo. Ho letto tantissimi libri sull’Africa, storie di vita vissuta, ma anche tanti libri di poesie.Ho scelto di studiare sviluppo e cooperazione internazionale per arrivarci, in un modo o nell’altro...

Non ho superato un colloquio in Banca (fatto in un momento di disperazione lavorativa) perchè alla domanda dello psicologo su quale fosse il mio cartone animato preferito io ho risposto “Fiocchi di cotone bianchi per Jeanie” e me ne sono partita con il mio discorsone su democrazia, solidarietà e uguaglianza. Non potevo essere per niente profittevole per una banca.

Eliminata i-m-m-e-d-i-a-t-a-m-e-n-t-e. E io direi: “meno male!”, non faceva per me.

Ho lavorato, fatto tirocini e volontariato in mille uffici che si occupavano di progetti in diversi Paesi africani, e io sempre lì, con la speranza di poter partire. Ho fatto mille applicazioni per partire in qualsiasi zona del mondo, ma l’Africa era sempre lì, dentro di me e in qualche modo avrei dovuto farcela.

Nel 2013, scovare, preparare lettere di motivazione e presentazione, e inviare applicazioni era diventato il mio lavoro preferito. E, non so né perché, né per come, ho fatto infinite applicazioni per la Guinea-Bissau, un paese mai sentito, se non solo di nome, per quanto riguarda la cooperazione. E allora mi lanciavo su internet a cercare informazioni, foto e qualsiasi cosa potesse interessarmi. Ogni volta che preparavo la lettera e inviavo la mia candidatura per questo paese, sentivo qualcosa dentro, sentivo che, se fossi partita, sarei andata sicuramente in Guinea-Bissau; lo sentivo forte, in quello spazietto tra lo stomaco e il cuore, dove si racchiude il sesto senso.

Lo dissi anche ai miei amici più stretti. E infatti così è stato. La selezione è stata lunga, da luglio a novembre; il 4 novembre ho ricevuto la tanto attesa mail e… che emozione, che ansia! Avevo quasi paura di dirlo ad alta voce… partivo in Africa, in Guinea-Bissau.

Questo “Bissau” che tutti dimenticano e che con tutte le Guinee che ci sono nel mondo, ho ricevuto un messaggio di congratulazioni per il mio trasferimento in Nuova Zelanda. I successivi due mesi sono stati una corsa contro il tempo, avevo da sistemare tante cose, passaporto, vaccini, roba, medicine, preparazione pre-partenza Roma-Torino. Non ho avuto tempo per cazzeggiare e avevo una forza inspiegabile nel preparare il tutto, seppur con un mal di denti tremendo e con la partenza che doveva essere prima il 4, poi il 6 ed infine il 7 gennaio; mi sembrava di non essere mai pronta. Ma pronta o non, sarei partita. Le valigie strabordavano ed erano al limite anche per quanto riguarda il peso, le ho chiuse alle 2.15 del 7 gennaio con esattamente 4 amici miei che ci salivano sopra. Ormai non si torna più indietro, è ora di andare. Saluti veloci ed emozionanti la mattina e via in aereoporto.

Cagliari-Roma, Roma-Casablanca, Casablanca-Bissau, un viaggio lunghissimo, stipata nel sedile centrale, con le gambe strette strette, le mie due cene marocchine a base di pollo e manzo insaporiti da una spezia fortissima, il mio paninetto nano, con un sacchettino di salmone nano tanto carino, una sorta di philadelphia sempre nanetta, uno yogurt supersodo ed una bella merendina di nome “Moretta”. L’atterraggio è stato molto emozionante, le ruote dell’aereo toccavano finalmente terra guinense e io, appena affacciatami dal portellone, potevo sentire come l’odore dell’aria fosse diverso.

Ero pronta a scendere la scaletta e a immergermi in questo nuovo mondo. Ecco, magari sfilando il mio maglioncino a collo alto che in Italia mi proteggeva dal freddo. Le valigie non ci sono, (io nel mio bagaglio a mano ho solo roba tecnologica, un pigiama, dei leggins e un paio di ciabattine) arriveranno tra due giorni.

La prima notte crollo, sono stanca e adrenalinica allo stesso tempo. Ogni tanto apro gli occhi, non riconosco il luogo in cui mi trovo e ricostruisco velocemente il tutto: “Sono in Guinea-Bissau, ho deciso io di venirci, sono stata selezionata, ho preso l’aereo stamattina presto, ok, posso riaddormentarmi”.

Faccio diverse volte questo ragionamento per diverse notti e ancora adesso mi capita di farlo. Durante la prima uscita l’impatto è forte, case bellissime, illuminate, dotate di ogni comfort e accanto la povertà più estrema. Nonostante ciò sono tutti sorridenti, i bambini ti salutano, ti indicano e gridano: “Branca, branca!”. Le loro partite di calcio sono meravigliose. I genitori sorridono. Per strada, camminano e attraversano dei maiali, come fossero cani. Alzo gli occhi verso gli alberi e scorgo un branco di avvoltoi. Dalla jeep vedo un pitone che occupa metà carreggiata. La terra rossa penetra dentro i polmoni, in gola, nel naso, tanto che quando me lo soffio mi viene da osservare bene il fazzoletto perchè quasi mi sembra sangue. Osservo il mercato. Ogni bancarella è composta da tanti piccoli mucchietti di frutta e verdura, quasi fossero delle piccole piramidi. Il cibo ha un sapore diverso, il riso è onnipresente, le banane sono nanette e mi verrebbe quasi da non mangiarle perché mi fanno tenerezza, nonostante l’ottimo sapore. La papaya non l’avevo mai mangiata, è un misto tra una zucca e un melone, non ha un sapore fantastico ma la mangio comunque, dato che aiuta (nello specifico) ad espletare le funzioni fisiologiche.

Si, perchè in realtà ero pronta (visti i racconti di tante persone) ad affrontare la diarrea in tutte le sue forme con fermenti lattici, Enterogermina, Dissenten, Normix e chi più ne ha più ne metta, e invece mi ritrovo a essere una pecorella costipata e influenzata con 32° C in Africa (ma che storia è???).

Dopo una lunga attesa arrivano le tanto desiderate valigie, ma io da furbona quale sono, vado in aereoporto senza i tagliandini e solo grazie a Giovanni (un ragazzo siciliano che a Bissau conoscono tutti – qui è un fenomeno) riesco a passare, a ritirarle e ricevo pure una proposta di matrimonio dalla guardia aereoportuale . Aiuto con grande forza (mi sentivo Hulk) a caricarle sulla jeep e torno a casa.

La mattina dopo mi sento superfelice, ho la mia roba, a colazione bevo il latte e mangio il pane fresco… cosa voglio di più dalla vita? I giorni proseguono veloci e lenti allo stesso tempo, mi sembra di essere qui da tantissimo tempo perché tutto è molto intenso. Non c’è tempo per la noia. C’è sempre qualcosa da fare. Facciamo pure i documenti per la carta di residenza a Bissau: “Agora Eu vivo em Bissau”.

Visitiamo le carceri e visioniamo il relativo progetto. É veramente tutto molto bello e intenso, gli odori, gli sguardi, il caldo, le strette di mano, tutto mi lascia una sensazione molto forte, la sento sulla mia pelle.

Ogni giorno è una scoperta, nulla è mai uguale. Tutte le cose che ho sempre fatto, assumono una forma diversa, anche le cose più semplici, i gesti, le azioni che faccio quotidianamente assumono un altro valore. Alzarsi la mattina, lavarsi, mangiare, andare in macchina e in moto, cucinare, poter usufruire di luce e acqua (altrimenti doccia con le bottiglie), guardare il tramonto ( bellissimo, con una fantastica palla infuocata e rossa che velocemente cala e lascia spazio alla luna e ad un meraviglioso cielo stellato) e andare a letto: ogni azione si appropria di un posto ben definito nella tua vita, con dei passi ben delineati da seguire, senza i quali ne scaturirebbero tante conseguenze.

Niente è fatto a casaccio, tutto ha un suo perché. Il sonno, il dormire qui è totalmente diverso. Quante volte mi sono addormentata nei posti più disparati? In macchina, in treno, in autobus… beh, qui mi sento spesso stanchissima, forse per la temperatura, forse perché le giornate sono intensissime. Salgo in macchina e Morfeo mi chiama intensamente. Io, con i miei deboli sensi umani, vorrei cedere e lasciarmi andare, ma c’è una forza più forte (scusate il gioco di parole) che vince su tutto e che mi tiene sveglia e vigile: è la forza dell’Africa. Lo sento dentro che non posso perdermi nulla, devo assaporare, ascoltare ed emozionarmi per tutto. Le grosse buche sulle strade rosse non sono messe lì a caso, ti fanno balzare all’improvviso e ti lanciano un messaggio: “ehi, svegliaaaaaaaaaa, non puoi dormire, non vedi quello che ti perdi?” e a ogni colpo di sonno, a ogni balzo che fai, ti senti in colpa. BASTA, DEVO STARE SVEGLIA. Anche il sonno notturno si limita alle sole ore di buio, mi sveglio appena la luce penetra dalla mia finestra e sono pronta ad affrontare la lunga giornata che mi aspetta, che non sarà mai meccanizzata e identica a quella precedente. Mi alzo e faccio tutto ciò che c’è da fare, anche ciò che in Italia non avrei mai fatto o che avrei fatto con 1800 lamentele.

Sono io che mi piego all’Africa, glielo devo, è il nostro patto; non è uno sforzo e ne sono felice. E la notte, mi addormento sorridente, (cosparsa di Autan Tropical e totalmente assuefatta al Bio Kill) sdraiata sul mio letto a semibaldacchino (che ho sempre desiderato) e mi sento protetta sotto la mia zanzariera bianca.

Elena Demelas, Volontaria in Guinea Bissau con il Servizio Volontario Europeo

24Gen/140

ep. 5 – Le mani, le tabelline e la magia

Che sia un’espressione, una divisione, o un piccolo problema di geometria, il problema alla fine è sempre quello: quelle maledette tabelline.
Non è un problema da poco. Teorie dell’apprendimento parlano di una certa soglia (l’età del passaggio tra le elementari e le medie) superata la quale è quasi inutile insistere nel memorizzarle. Se la situazione è disperata, allora serve la magia.

- 9×5?
- ….
- Dai sù… Niente? Bene allora ricorriamo alla magia… Da questo momento le tue dita sono incantate e, al contrario di te, conoscono perfettamente la tabellina del 9… e possono suggerirti!
- Eh?
- Stendi le mani… quante dita sono?
- 10!?!
- Sì, 10…
- Dunque: Se ti chiedo 9×1, basta nascondere il 1° dito e le tue dita ti diranno la risposta… 9×2 il 2°, 9×3 il 3° e così via.

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Pronto?

- Mmmm allora…nascondo il 5° dito… 45!
- Esatto! Vedi è magia…

 

Biagio Grillo, Volontario in Messico con il Servizio Volontario Europeo

24Gen/140

“Ladri di Biciclette”- Valutazione intermedia

Data e Luogo: Canoa, 19 Gennaio 2014 – Ecuador.
Partecipanti: Paolo Rossi, Dayana Cucè, Luna D’Ambrosi, Letizia Collini, Sergio Pagnozzi

L’orizzonte lavorativo del volontario spinge a confrontarsi con tematiche sociali di un certo spessore. Sembra abbastanza semplice ripensare ad alcuni temi affrontati nel film Ladri di biciclette e ricollegarli all’esperienza del volontario che si muove all’interno di un contesto pregno di difficoltà sociali e umane. Il dibattito tra i volontari si basa su queste premesse.
Letizia dice che al di là dell’immediato confronto con la realtà sociale della Roma del dopoguerra, sensibilmente differente all’universo in cui ci troviamo, è possibile ritrovare medesimi problemi presenti, del resto, in contesti gravidi di povertà materiale e culturale.
Ecco allora come la semplice storia di un poveraccio che cerca con i suoi scarsi mezzi di trovare un lavoro degno e di vivere onestamente rievoca, secondo Sergio, molte delle storie familiari dei ragazzi con i quali lavoriamo perché è proprio una situazione economica familiare problematica a creare dei disagi di gruppo e individuali...

23Gen/140

La stramba logica che governa il mondo

Sabato 11 gennaio era il compleanno di Matteo, il nostro responsabile qui a Bissau. Abbiamo deciso di preparare un bel pranzetto, quindi siamo usciti di casa per andare al mercato e al porto per comprare un po’ di pesce. Ne abbiamo approfittato per vedere un po’ la città, che è piccola e sicura… tutto sommato è molto carina anche se sulle prime sembra tutto sgarrupato...
21Gen/140

Day Zero – Il lungo viaggio

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Sveglia ore 3.45 (di notte) dopo aver dormito quasi niente causa naso chiusissimo e ansia pre-partenza per un viaggio di un anno in un posto lontanissimo che probabilmente mi cambierà la vita, o forse no, ma io ci spero.
Faccio tutto in automatico, mi vesto, mi pettino, chiudo lo zaino, prendo un caffè notturno che dovrebbe svegliarmi ma di cui non avrei neanche bisogno, che va giù solo per abitudine e via, chiudo la porta di casa senza guardarmi indietro, senza salutare la mia stanza, la cucina e tutti gli angoli che negli ultimi mesi mi avevano vista lì come non accadeva da anni...

16Gen/140

I figli del deserto

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Hermosillo si trova nel deserto.

Se state pensando alle dune e ai cammelli ecco, non quello. Parlo del deserto dove è tutto secco, dove non ci sono alberi né verde, ma solo sole che picchia forte per 12 mesi all’anno e che non lascia spazio alla pioggia nemmeno per pochi istanti. Parlo della terra spaccata dall’aridità, di distese immense di cactus che come guardiani custodiscono gelosamente l’immobilità del tutto. Parlo di avvoltoi nel cielo.

Il nostro centro educativo si trova in questo deserto.

Situato in un quartiere di recente formazione sembra essere il migliore esempio dell’immobilità di cui sopra. Nato come agglomerato urbano abusivo, negli anni è rimasto sacca di povertà in una città che cresce, cambia e si arricchisce. Tutt’attorno le cose sono migliorate, chi aveva una casa in lamiera è riuscito a costruirsi un pezzetto di muro in mattoni, in cinque anni una nuova stanza, in dieci anni i figli a scuola e un lavoro.
Mentre qui tutto è rimasto così com’era. Case precarie, che prendono fuoco e in cui ci si ustiona.

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I nostri bambini sono figli di questo deserto.

La pelle scaldata dal sole onnipresente, i pantaloni perennemente impolverati e sul corpo bruciature di ogni genere.

In questo deserto sono arrivata come un temporale, fuori luogo, con troppi progetti e poca visione della realtà. E alle volte ho fallito.

Sono stata catapultata in una realtà di cui ignoravo regole e pericoli. Con il tempo sono diventata amica, confidente, per qualcuno sostegno e forse una maestra troppo accondiscendente per essere credibile. Eppure sta funzionando. Ci capiamo, ci raccontiamo e se proprio devono…mi ascoltano.