Volontari
29Lug/130

Diario a ruota semilibera dell’arrivo a destinazione: dagli shock cultural / culinari ai primi manifesti bisogni del luogo

montaggio di 4 foto

18/7/2013 – Ibotirama (Bahia)

Il Brasile mi ha accolto con l’odore di vomito. Non è bello e sono certo di poter raccogliere l’unanimità dei consensi… Ma, d’altronde, cosa vuoi farci? Sono cose che possono capitare… avevo appena salutato il capitano e lo staff di bordo, avevo appena superato il portellone dell’aereo, qualche passeggero si sarà sentito male…

E invece scopro che è pão de queijo…
“un pane al formaggio che fanno qua!! E’ buonissimo, lo trovi dappertutto!”
Considerata la prima impressione non sono riuscito a fingere la piacevole sorpresa che il tono della connazionale con cui parlavo sembrava si aspettasse…

Ero seriamente preoccupato… e penso che avrei preferito dover affrontare l’odore dei succhi gastrici dei 3 bambini seduti vicino a me lungo il viaggio! Per me, poi… adoratore di gorgonzola e focaccia di Recco… ma soprattutto generico discepolo di tutta la cucina patriottica… mi trovo spiazzato e con la paura di dover affrontare il tanto preannunciato “shock culturale” su un campo di battaglia delicato e già messo in conto… ma in cui non credevo di dovermi aspettare un colpo così basso..!

Questo flusso di pensieri e sensazioni si svolge dal “finger” dell’aereo fino al controllo passaporti in dogana… e viene sempre accompagnato dallo stesso odore e con la stessa intensità… come se fosse distribuito dalle bocchette dell’aria condizionata! Mi saluta solo in uno spazio grande, nella hall dell’aeroporto… è il momento del trasferimento bagagli alla seconda tratta di volo… sono vicino all’ingresso principale e le porte automatiche sono aperte, mi trovo a fare una breve coda che mi concede il tempo di scorgere un pezzo di strada e delle macchine… chissà come guidano qua a São Paulo…

E solo quel pensiero… solo in quel momento di attesa alla consegna bagagli… mi fa realizzare di essere arrivato. Finalmente arrivato.
Lì fuori c’era quella cosa a cui avevo pensato negli ultimi 2 anni circa, di cui negli ultimi 8 mesi in maniera specifica e pianificata con il progetto SVE… E’ lì, a una sessantina di metri da me… appena fuori da quel “non-luogo antropologico” definito aeroporto…

Il modo migliore per descrivere quell’istante forse è il silenzio… sembrava incredibile… “Son davvero qua?? Sei davvero tu???”

Il momento di fermo immagine è stato breve, quanto l’attesa che arrivasse il mio turno nella coda, consegnassi i bagagli e mi mettessi a cercare il mio gate… preoccupandomi seriamente per qualche lungo minuto di rischiare di perdere l’imbarco! Sono stati momenti di serio panico anche se ben camuffato, fatti di domande a più persone con ruoli differenti, in lingue differenti, tutte diverse dal portoghese, che ancora non sapevo quasi per nulla!
Tutto si è risolto capendo che in São Paulo dovevo considerare un fuso orario ulteriore, quindi avevo più di un’ora di tempo di attesa. Mi rilasso su una sedia con la testa appoggiata al muro e mi metto a giocare al sollevamento palpebre con il jetleg addosso… Esco dalla fase alfa al primo sentore della parola “Brasilia” (mia seconda destinazione di volo), scatto in piedi e mi dirigo alla coda che porta alla sala d’imbarco.

I lavori per gli ampliamenti dell’aeroporto ci fanno attraversare un pezzo di pista a piedi, dove noto con un preannunciato piacere che alle 5 del mattino della stagione che loro definiscono “inverno” fa il freddo che ci si aspetta da una turbolenza serale sulla passeggiata del lungomare di Corso Italia a Genova a fine giugno… Stavo quasi sorridendo a questo pensiero quando mi rendo conto che nella sala in cui avremmo dovuto aspettare l’ingresso all’aereo mi stava aspettando (sogghignante) ancora lui: l’ormai innominato odore di pão de queijo!

Un baretto aveva appena aperto… e guarda un po’ cosa si mette a scaldare?? In quell’istante ho visto sfumare l’immagine che mi accompagna dall’infanzia della tipica colazione domenicale fatta al bar che scalda le brioches al cioccolato e irradia la via di fronte con quella fragranza ipnotica che fa pregustare il calore e la croccantezza di un “pain au chocolat” appena uscito dal fornetto elettrico…
Una dolorosissima sovrascrittura.
Faccio un giro davanti al bar per cercare di individuare con precisione la fonte del mio non apprezzato saluto di benvenuto, poi mi allontano facendo un piccolo giro della sala, che scopro irrimediabilmente piena di quell’odore… non ne ho scampo! E mentre lo penso mi rendo anche conto di avere di fianco a me un tizio più largo che alto che si relaziona con gran sentimento con questo pilastro della cultura culinaria locale… si lascia coprire di briciole la pancia, incurante del possibile sguardo delle persone accanto… solo lui e il suo pão de queijo…

Pão de queijo…

Pão de queijo…

Mi rassegno e mi siedo.

Ed è lì che sento che la signora agghindata in modo pacchiano a poca distanza da me ama farsi una seconda doccia con il profumo prima di uscire di casa… cambio sedia per avvicinarmi proprio a lei… cerco di non dare troppo nell’occhio, ma che pensi pure di aver fatto colpo, io avevo trovato la mia trincea olfattiva! Per un attimo credo di averla sinceramente amata…

Nella seconda tratta di aereo trovo un vicino di poltrona con cui ho condiviso la visione della vita al primo sguardo: mi accoglie già con la benda elastica nera calata sugli occhi a dichiarare le sue ferme intenzioni oniriche. Arrivato a Brasilia e recuperato il bagaglio trovo ad attendermi un cartello con scritto il mio nome e un vispo anzianotto che mi fa sentire a casa esclamando: “Fabrizio!! Sei proprio tu??”… il tono era quello di chi ti aspetti continui affermando di essere tuo parente e di averti conosciuto quando eri “un bambino alto così…”… Si presenta come Padre Carlos e mi introduce a Cristiano, un ragazzo che ha studiato italiano, insieme mi prendono le valigie e andiamo alla macchina dove ci aspetta Antonio (anche lui ex studente di italiano) che ci guida alla parrocchia di un quartiere nella periferia di Brasilia.

Qui incontro Padre Sergio e una cuoca di cui mi son dovuto far ripetere il nome… Mi danno una camera, ognuna identificata da una citazione in portoghese, la mia e’ “Se Dio e’ con noi, chi può essere contro di noi?”…forse il pão de queijo!?!?!?

Mi offrono il caffé (all’americana in un termos) con dei biscotti tipo petit beurre (ma più saporiti dei nostri) e mi presentano le differenti varietà di banane che hanno qua (che meritano la mia prima foto in terra brasileira!). Rimango a parlare un poco con padre Carlos che però deve lasciarmi per sbrigare alcune faccende, quindi tento inutilmente di comunicare in portoghese con la cuoca, fino a salutare con un sorriso ampio ma rassegnato e fare un giro fuori…

Giù nel sagrato noto che quel luogo (la parrocchia, la casa dei padri e la piazza antistante) lo si potrebbe trovare uguale anche in Italia… dubito che anche ad Ibotirama (la mia meta finale) sarà così, ad ogni modo il famigerato shock culturale non mi sembra proprio di avvertirlo, l’ indemoniato pão de queijo è quasi solo un ricordo e tutti qua sono sorridenti e contenti di conoscere il volontario arrivato dal vecchio continente…
Mi convinco di essere stato fortunato a passare da Brasilia, il fatto che alcuni parlino abbastanza italiano può essere un’ottima risorsa per farmi cominciare a familiarizzare con il portoghese… ma di lì a poco ho la sensazione che per parlare portoghese dovrò chiederlo esplicitamente! Anche padre Sergio infatti parla piuttosto bene italiano, mi si avvicina in mezzo alla piazza e mi spiega che si sta allestendo la festa del quartiere, da quella sera (venerdì) e per le 2 successive. Mi dice che starò da loro per qualche giorno prima di prendere un bus che in una notte di viaggio mi porterà ad Ibotirama. Nel frattempo si avvicina un giovane seminarista che padre Sergio mi presenta con il nome di Rodrigo. Rodrigo non solo è stato in Italia per gli studi religiosi (e quindi parla italiano), ma conosce i Promessi Sposi e scherza per primo sul fatto che quando sarà prete sarà un don Rodrigo che di matrimoni avrà da farne eccome… riesco a farmi anche due risate sul pilastro della letteratura italiana… incredibile! Qua mi viziano…

Torno in camera pensando di dover metter mano subito al manuale di portoghese che mi sono portato dall’Italia, ma crollo fino a sera appena mi stendo sul letto, nonostante fosse poco più morbido del legno massello…

Lo shock culinario è decisamente terminato quel giorno stesso, dal momento che alla sera (e alle 2 successive) di festa di quartiere ho potuto provare un gran numero di nuovi cibi, tutti piuttosto buoni e profumati… Ho apprezzato presto la semplicità della loro cucina che si fa forte di una grande varietà e della genuinità (anche sinonimo di semplicità…) nella preparazione. Mi innamoro delle Pastel (una frittura vagamente simile ai nostri panzerotti e ripiena di carne o formaggio), apprezzo la Mandioca e la sua farina, mangio la “Galinhada” (riso con pollo, comprensivo di qualche osso assassino…), i “Caldos” (ottimi brodi/minestre serviti in bicchiere), i Vinhos Quentes (equivalenti del nostro Vin Brulé, ma con un’overdose di cannella…), non riesco a provare la Tapioca per un pelo perché alla bancarella l’ultima sera della festa l’avevano finita… ma apprezzo le bibite al Guaranà (di cui ultimamente tendo a drogarmi), mi fanno provare la Cocada (un dolce di cocco arrivato proprio da Ibotirama), a colazione mi innamoro del “Doce de Leite” e un giorno prima di pranzo mi fanno bere una Caipirinha preparata dai padri senza che mi venisse presentata come tale… “uh, guarda, lime spremuto come aperitivo.. proviamolo!”… Stimo che la percentuale di Cachaça all’interno superasse il 70%… gente di spirito i Padri!!

Dopo qualche giorno mi sono già affezionato a qualcuno di loro, soprattutto ai seminaristi, che in quella casa abbassavano un’età media decisamente alta… Credo che anche loro si siano un po’ affezionati… ed è probabile che a tal fine abbia aiutato anche la carbonara e l’amatriciana che gli ho cucinato la cena di domenica… il cui apprezzamento è stato tangibile dal momento che mi hanno chiesto di insegnarlo alla loro cuoca il giorno dopo.

Eccomi infatti tornare ai fornelli dopo neanche 24 ore e questa volta mettendomi alla prova con la mia prima aula formativa oltreoceano: lei con fogli e penna alla mano, io con il vocabolario più aperto che chiuso ed entrambi ad inventarsi codici comunicativi basati soprattutto sul linguaggio non- e para- verbale…

I palati dei commensali applaudono nuovamente e martedì sera arriva in fretta. Io saluto tutti promettendo di tornare a trovarli al ritorno con la lingua ben fluente e inizia il mio viaggio verso Ibotirama, su un pullman che mi avevano annunciato scomodo e che invece mi ha cullato tra le braccia di Morfeo per tutte le 13 h di viaggio notturno…

Verso l’arrivo mi sveglio del tutto solo quando attraversiamo un ponte particolarmente lungo e con un parapetto da brivido di poco più di un metro e mezzo… che ci separava da un fiume incredibilmente ampio … “Ibotirama…! Sei proprio tu??” La temperatura è decisamente più alta, mi cambio, scendo e mi faccio subito riconoscere da Padre Jorge (il successivamente nominato Mitico Padre mcGyver Jorge…), che mi guida in una jeep toyota mezza scassata ma con ancora carattere e prezzo di mercato e che peraltro era intonata allo stile dell’autista, lontano dalla tipica immagine di prete che si ha dalle nostre parti… Padre Jorge è arrivato a gennaio dopo alcuni anni di missione in Guinea Bissau e sarà il mio referente operativo per le attività nel “Centro Educacional Murialdo”, di fianco a casa… Dei tre padri di Ibotirama di cui mi avevano parlato lui è quello che parla meglio italiano, anche lui (come Padre Sergio di Brasilia) ha un forte accento veneto (che mantiene un po’ anche mentre parla portoghese) e conosce più il dialetto padovano che l’italiano corretto, ma ci si capisce e diventa un suo tratto caratterizzante che me lo fa apparire da subito simpatico e familiare!
A casa conosco gli altri due padri: Devison (della mia età e consacrato da qualche mese) e Idair, il mio referente responsabile dello SVE qua in Brasile. Mi fanno sistemare con calma in camera e mi mostrano due cose essenziali della casa e delle sue semplici regole. Devison mi invita a fare due passi con lui al tramonto, per una camminata di fitness che lui fa quando la sera non deve dir messa… io colgo l’occasione per dare un’occhiata in giro con qualcuno del luogo a fianco e accetto.

Lo skyline di Ibotirama non supera i due piani edificati, la maggior parte delle case non conosce l’intonaco e le strade sono un work in progress: dove non c’è un asfalto groviera c’è una sabbia rossa che si sta facendo inseguire lentamente da una lastricatura moderna definibile “a sanpietrini grezzi”. Il tramonto arriva veloce circa alle 18 (e Padre Devison mi conferma che sarà pronto a trasformarsi in alba verso le sei del mattino). In cielo non c’è una nuvola e la luna è storta, sembra le si sia staccato uno dei chiodi che la teneva su e sia scivolata in orizzontale, quasi come un sorriso. E’ divertente la sensazione di potersi aspettare lo Stregatto di Alice nel paese delle Meraviglie comparire in mezzo al cielo partendo proprio dal sorriso della luna… e intanto noto che la passeggiata serale qua è presa come vero e proprio jogging, ma senza la corsa! Ci trovavamo in un quartiere in costruzione in cui non passano ancora auto e che quindi risultava perfetto per accogliere i fan di quello che ho definito “fitness alla brasiliana”: sembrano tutti in giro semplicemente a camminare in gruppi e a chiacchierare, ma il passo è sostenuto abbastanza da mantenere alto il battito cardiaco e le chiacchiere si svolgono senza rubare la priorità al ritmo. C’è anche chi lo svolge con tenute sportive professionali e tanto di fascia al braccio con conta battiti e lettore mp3 nelle orecchie… ma di persone che corressero ne ho vista solo una… e in realtà non si poteva dire che corresse per davvero! Con Devison intanto parliamo di tante cose anche se lui l’italiano lo sa davvero poco… in effetti in realtà è lui che cerca di parlare a me più che il contrario… tanto che alla fine della camminata/fitness, senza capire bene come, mi trovo invitato a seguirlo ad una messa che deve andare a tenere in un quartiere lì vicino…

La messa è per strada, un po’ come il cinema sotto alle stelle, ma organizzata autonomamente da un gruppo di preghiera di quel quartiere, e con l’altare all’interno dell’ingresso di una casa ben tenuta. Ho modo di vedere un prete mentre fa fitness e poco più tardi indossare gli abiti da cerimonia e trasformarsi nel suo ruolo… resto in fondo allo schieramento di sedie ad osservare la gente, il luogo e la notte attorno e intanto ascolto le orazioni dei salmi e delle preghiere cercando di capire qualche parola di portoghese tra quelle che ricordo dall’ultima messa a cui avevo assistito, anni fa… Al momento degli avvisi e delle comunicazioni finali Padre Devison mi presenta a tutti, con io che speravo di poter sembrare invisibile agli ibotiranensi ancora almeno fino all’indomani…

Al termine della messa i padroni di casa che hanno ospitato la cerimonia fanno un discorso sentito e offrono da bere e mangiare, venendo a salutare tutti e ringraziando uno per uno per la propria presenza… Questa particolare conclusione mi aveva fatto percepire un gran calore tra il vicinato ma avevo capito solo vagamente quello che il padre di famiglia aveva voluto dire nei ringraziamenti finali, Padre Devison mentre torniamo a casa a piedi mi spiega che quella è una messa che si svolge una volta all’anno da 5 anni, da quando il padrone di casa era stato picchiato e rapito in cambio di un riscatto… da allora dice di essere cambiato e di sentirsi in una nuova vita e questa celebrazione annuale è per augurare ancora pace a sé e alla sua famiglia e condividere questa gioia con il quartiere. Senza saperlo mi ero immerso in un rituale pieno di significati anche culturali…

Il resto della strada la percorriamo in quasi silenzio con io che cerco di memorizzare subito il nome di qualche via perché immagino di dovermi orientare facendo affidamento solo alle mie capacità naturali, le strade che stavamo percorrendo dicevano chiaramente che la google car non potevano ancora averla vista passare…

Arrivati a casa mi trovo ad assistere ad un altro rituale culturale locale: la telenovela serale! Di cui non capisco granché senza un breve riepilogo di Padre Jorge, ma ad ogni modo sono seduto al divano insieme a tutti e tre gli inquilini della casa e quindi ho modo di parlare un po’ con Padre Idair, che conosce un po’ di italiano dall’infanzia grazie ai suoi nonni. Anche lui è semplice e piuttosto alla mano, ma soprattutto ha un leggero tono ironico semiserio che la prima volta che lo sfodera mi lascia perplesso per un istante… gli avevo appena dichiarato di non essere un cristiano praticante da parecchio tempo e lui con grande leggerezza e tornando a guardare lo schermo mi fa notare che adesso dovrò abitare per tre mesi con tre Padri e quindi recupererò tutto! Una frazione di secondo di silenzio, una risata e io mi vedo già sullo schermo della televisione nella sit com “3 Padri e 1 Fabrizio”: che cosa succederà domani???

Domani è il primo giorno di attività al centro educativo, i ragazzi e gli insegnanti mi accolgono con una canzone di benvenuto preparata apposta per me, io ho modo di affiancare gli insegnanti nelle loro lezioni e mi conquisto subito qualche bambino con qualche vecchio trucco da educatore/animatore… a tutti gli effetti comunque non è per niente difficile entrare in relazione con “os meninos” e anche gli insegnanti sono tutti molto rilassati e sorridenti.

Ogni tanto Padre Jorge mi accennava ad alcune storie personali drammatiche dei ragazzini per farmi capire che situazioni si incontrano qui… storie tipo: “quella ragazzina (14 anni e un viso d’angelo ma piuttosto triste..) si prostituisce ai camionisti che passano sulla strada principale”; “quell’altra è nata da suo padre che si è improvvisato insegnante di educazione sessuale con la sua primogenita”; “quella ragazzina invece semplicemente ha la madre che dice che è meglio se non torna a casa dopo la scuola…”. Per quello che li ho conosciuti comunque potrebbero essere ragazzini normali che mantengono la spontaneità, giocano e sorridono… la ricerca di affetto è palpabile e sempre Padre Jorge dice che il nostro compito può essere anche solo quello di insegnargli cos’è l’affetto incondizionato, così che sappiano riconoscerlo nella vita…

Dalla frequenza con cui lo cito è chiaro che già in quei primissimi giorni Padre Jorge è diventata una persona con cui ho particolarmente piacere a lavorare e chiacchierare. E’ Padre a modo completamente suo. E’, sì, un po’ fuori dagli schemi, ma non esageratamente e non solo in quel senso… intendo che è a modo suo in quanto ha una ragione per tutto quello che fa e dice. Senza gli abiti da cerimonia non si discosta all’apparenza dall’essere una persona qualunque, ma dimostra comunque una sensibilità e un’umanità davvero notevole, l’ho sentito anche dispiacersi delle rigidità dell’istituzione ecclesiastica davanti ad alcune situazioni estreme che si trova a conoscere qua, ma ad ogni modo riconosce la necessità di regole come in qualunque istituzione; e infine è consapevole di poter fare il prete fino a quando non dovesse decidere di lasciare, contento e in pace con la sua scelta.

E’ andata a finire che la curiosità di vederlo in abiti da cerimonia mi porta ad assistere ad un’altra messa. Ero in giro a piedi con lui per altri motivi e (anche con la scusa di presentarmi agli Ibotiranensi) mi porta con lui alla messa per la quale era già un po’ in ritardo… io la presi anche come occasione per migliorare la lingua e in effetti a questa messa (svolta in una chiesa vera), c’erano i testi dei salmi e dei canti proiettati sul muro di fianco all’altare. Ero pronto ad astrarmi e a studiare il portoghese sui vocabolarietti che mi porto sempre dietro, mentre è andata a finire che, grazie alle videoproiezioni, ho seguito tutta la messa imparando effettivamente diverse parole nuove, comprese quelle del fumetto di windows, comparso in mezzo a un salmo con l’avvertimento di dover attivare il prodotto per continuare ad usare il software…

I giorni successivi han continuato ad essere ricchi e a guardare indietro adesso sembrano piuttosto lontani e un po’ volati… Vivendo a stretto contatto con Padre Jorge lo scopro essere davvero un mcGyver con tanto da insegnare anche a livello pratico: scherzando gli ho detto che quello che ha imparato in Guinea Bissau mi fa immaginare che gli permetta di cavarsela anche nell’amazzonia e ritornare a casa con un elicottero costruito con soli materiali organici…; per il resto invece sono entrato bene in relazione con gli insegnanti del centro educacional e ho partecipato alla mia prima riunione di pianificazione delle attività della settimana; mi sono messo agli strumenti da lavoro per approntare un laboratorio di percussioni fatte con materiali di scarto assortiti; ho assistito alla mia terza messa (superando il record degli ultimi 5 anni circa) e sono stato presentato alle circa 600 persone della chiesa principale; ho cucinato un’altra carbonara per i padri e due suore nostre ospiti e simpaticissime, con cui ho potuto parlare ancora in italiano e spolverare un po’ di tedesco non troppo arrugginito; domani terrò la prima lezione di un corso sulle tecniche di apprendimento e memorizzazione della durata di circa 2 mesi e rivolto agli insegnanti del centro, con l’aiuto per la traduzione di padre Jorge e di un’insegnante di inglese conosciuta proprio grazie alla presentazione alla fine di una messa; e infine mi sono fatto raccontare bene qualcosa sul passato del centro e sulla sua situazione attuale…
“Asino” in portoghese si dice “Burro”. E proprio a causa della Burro-crazia il centro ha dovuto diminuire le sue attività perché una legge locale dice che i ragazzini non possono lavorare. Legge più che comprensibile, ma applicata da Burro-crati che han fatto limitare le attività all’animazione, al gioco e alle lezioni in aula, quando all’interno del vasto terreno del centro, davanti alle aule, c’è un grande orto comunitario dove i ragazzi apprendevano di agraria e guadagnavano i soldi di quello che veniva venduto, mentre dietro c’è una “panificadora” ora abbandonata per lo stesso motivo dove allo stesso modo i ragazzi imparavano il mestiere di trattare le farine e ricevevano un compenso.
Riuscire ad aiutare a sbloccare la situazione in questo senso sarebbe una soddisfazione enorme, forse troppo grande per uno SVE da educatore… forse grande anche per il ruolo parziale che ho di cooperante internazionale, ma forse anche no… ad ogni modo con un’indagine si può sempre cominciare…

 

Fabrizio Testi, Volontario con Servizio Volontario Europeo in Brasile

Commenti (0) Trackback (0)

Ancora nessun commento.


Leave a comment

Ancora nessun trackback.