La Fiera del Messico
“¡Ya te va a tocar la feria!” (presto ti toccherà la fiera) è una delle frasi che, da quando sono ad Aguascalientes, mi sono sentito ripetere più spesso. La persona che la pronuncia solitamente lo fa con veemenza, travolgendomi con il suo entusiasmo. Di solito la conversazione si conclude con pacche sulle spalle e inviti a bere assieme. “Puro desmadre, güey”: sarà il caos più totale.
La feria in questione è quella di San Marcos, un santo particolarmente sentito anche dalle mie parti. Il leone alato dell’evangelista è infatti il simbolo della mia regione e dell’Università in cui mi sono laureato, nel lontano (?) 2013. A questo aggiungiamo che dall’evangelista sepolto a Venezia prendo il nome, e che nella città e nella via in cui ho vissuto negli ultimi due anni il 25 aprile, giorno dedicato al santo, ha un sapore del tutto speciale. Mi sono dunque avvicinato all’importante evento con un misto di fatalismo e rassegnazione, pensando che dopotutto non potrà essere una festa molto diversa di altre rassegne popolari a cui ho assistito. Mi sbagliavo.
Se un pomeriggio di primavera un pagliaccio… Un’esplosione di colori nella scuola rurale di Ouerjijen, Médenine.
Che succede se un giorno all’improvviso un pagliaccio entra in una scuola? Una scuola “rurale”, come chiamano qui le scuole dei villaggi che circondano la città di Médenine, scuole semplici, piccole, con pochi strumenti e poche risorse. Scuole i cui bambini non sono probabilmente mai usciti dal villaggio, provenienti da famiglie che vivono senza troppi mezzi, bambini che giocano per strada, anche con la calura estiva che inizia a farsi sentire, e che non hanno troppa confidenza con computer e smartphone. Allora, cosa succede se un giorno un pagliaccio entra all’improvviso in una di queste scuole? Semplice: una rivoluzione, una festa, un’allegria incontrollabile! Uno stupore e una gioia così genuini negli occhi dei bambini, quando, di soppiatto, questo energumeno dai vestiti stravaganti e la faccia pitturata entra in classe..
ACQUA: BENE PRIMARIO PER L’INTERA UMANITA’
Siamo fatti da circa il 70% di acqua ed il nostro fabbisogno giornaliero si aggira intorno a 2 litri al giorno che moltiplicato per 10.000 abitanti quanti litri fa? E soltanto per bere, non consideriamo il fabbisogno legato alle altre fondamentali necessita'.
A Siongiroi l'acqua non c'è, è poca, è acqua piovana...è sporca. I bambini della scuola ogni giorno, nel pomeriggio intorno alle 16.00 si recano ad una pozza dove anche mucche ed asini si serviranno per bere ed urinare, e con i loro bidoni di plastica gialla prendono la loro acqua e la portano al campo dove la utilizzeranno per lavarsi e per lavare i propri vestiti. L'acqua ha un colore marrone, eppure lavano. L'acqua ha un odore nauseante, eppure non lo sentono. L'acqua, bene primario per un'umanita' intera qui, in una natura che esplode con tutta la sua forza, sembra un miraggio lontano. Dei ricchi e' privilegio averla pulita, mentre centinaia di bambini la condividono con mucche ed asini e si precipitano sotto la grondaia di un tetto a raccoglierla quando piove nel loro bicchiere, per dissetarsi un po'...
L'acqua che scorre dal rubinetto di casa a giorni alterni, di un colore giallino misto ad un marrone a tratti scuro come la mia pelle che sembra essersi adattata ad un odore nuovo. Un odore di cui sono ormai impregnati i vestiti che lavo nella speranza di ripulirgli via la polvere ma con la stessa acqua che veramente pulita forse qui mai ci sara'...cosciente che al ritorno a casa mi sentiro' una straniera in mezzo a profumi troppo forti per le mie narici, osservo questa nuova realta' con occhi spalancati come una finestra che si apre su un orizzonte nuovo diventato ormai quasi normale.
Daniela Romano, Volontaria in Kenya con il Servizio Civile
La bellezza, linguaggio universale.
Talvolta, da dei fatti insignificanti o apparentemente privi di grande profondita’, nascono dei pensieri che sorprendono.
Non avendo grandi competenze musicali o sportive, o almeno non abbastanza da insegnarle nei mini corsi che teniamo presso il centro Murialdo ai ragazzi del quartiere La Ladrilleras, ho pensato di tenere occupati e divertire i bambini e ragazzi con qualche attivita’ manuale: lavoretti, semplici opere artistiche e cosi’ via.
Ho deciso di finalizzare tutti questi lavoretti alle aule del centro. Sin dai primi giorni, mi aveva colpito quanto fossero spoglie e tristi: qualche foglio in bianco e nero penzolante dalla parete, scritte con numerose lettere mancanti, in generale grigiore e trascuratezza. Sicuramente non mi aspettavo pavimenti lucidi e marmi, ma ho pensato: “Io, in un posto cosi, verrei volentieri a lavorare?”
Compendio breve di alcune cose che ho imparato da settembre ad oggi
Buona terra, buona gente, cieli chiari, acqua chiara
Aguascalientes è una città di circa un milione di abitanti giusto nel mezzo della Repubblica messicana. Si potrebbe addirittura affermare che se tracciassimo due linee immaginarie in grado di collegare diagonalmente i quattro angoli del paese, nel punto di intersezione vi troveremmo proprio Aguascalientes, con la sua catedral le sue peleas de gallos e gli ubriachi della feria di San Marco.
Capitale dell’omonimo stato (fra i meno estesi della Repubblica), Aguascalientes è conosciuta anche come “terra della gente buona”. Un soprannome, questo, inciso a chiare lettere anche sullo stemma cittadino bona terra, bona gens, clarum cielum, aqua clara.
Aguascalientes intende farsi riconoscere per la sua popolazione affabile ed accogliente, per il suo terreno fertile, per i suoi cieli privi di nubi e per le acque che sgorgano dalle numerose sorgenti termali. I tutto sommato bassi indici di violenza, in anni in cui nella gran parte del Messico infuriava la violenza narcos, le hanno peraltro valso l’appellativo di città del no pasa nada. Non accade nulla.
L’inizio di un viaggio verso sud: celebrazioni per il nuovo anno Amazigh in Tunisia
Tamezret, anno 2966. Suona come il preludio di un film di fantascienza, ed il paesaggio si presterebbe bene a farne da location. Siamo in un villaggio abbarbicato tra le crespe e semidesertiche colline della catena di Matmata, famose per aver dato i natali al leggendario Luke Skywalker, protagonista di Star Wars: il pianeta Tatooine.
Ma non siamo qui per rendere omaggio a George Lucas, bensì per assistere ad un evento che celebra l’identità dei popoli che abitano queste terre da millenni, i berberi. Il 16 gennaio si è festeggiato a Tamezret l’entrata nell’anno Amazigh 2966. Nonostante la presenza di popolazioni di etnia berbera in Nord Africa risalga a parecchi millenni prima di Cristo, è il 950 a.C. la data scelta come anno zero della storia berbera, anno in cui per la per prima volta un berbero diventa faraone di Egitto, dando inizio alla dinastia Shenshonq. Il computo di questo calendario è una convenzione moderna adottata dell’Accademia Berbera di Parigi negli anni ’60, ma col tempo condivisa dai sostenitori del risveglio dell’identità Amazigh.
Camminando su questa terra
Questa non vuole essere la semplice pagina di un diario, ma lo sfogo di una coscienza che spesso è silente e cova, un impeto di rabbia e dolore che lasciare andare in un sol fiato, aiuta a rendere più leggero il peso che dentro al petto grava.
Feliz Navidad
Ancora avevo in mente scheletri e catrinas del Día de Muertos che, all’improvviso e quasi senza che me ne accorgessi, sono stata circondata da lucine di natale e villancicos (i canti tipici del periodo natalizio). Sicuramente, abituata come sono al freddo e alla neve, non riesco ad aspettarmi davvero il Natale dove ancora riescono a fare 20 gradi nelle ore più calde della giornata, ma poco a poco me ne sto facendo una ragione!
Atardecer
Sta per iniziare il taller de guitarra e aspetto i miei allievi con ansia, ancora non so chi verrà. Sono arrivata con un nordico anticipo e quindi aspetto cercando di ripassare la lezione che mi sono preparata. Attendo seduta in una sedia-banco a dir poco scomoda che scricchiola ad ogni mio movimento e osservo i particolari di questa stanza in ogni suo dettaglio, ragni compresi.
Parto….ma senza epidurale
Già capire che stai partendo è complicato, realizzare che starai in un paese straniero per un anno è quasi impossibile. Mi aspettavo mille nuove 'regole' sociali da seguire, incomunicabilità, incomprensione, difficile lettura dell'altra persona per gap culturali vari...invece tutto sembra una viva corrente in cui ci si può tuffare o uscirne un po' a piacimento.
Alla fine puoi prenderti il tempo che vuoi per fare quello che ti senti....O forse anche questa è un'impressione, perchè tutto sembra un po' indefinito, non del tutto probabile.
La città non è grande, ma piena di persone che dalla mattina presto stanno in strada, dove si svolge la vita qui. Ovunque vai ci sono banchetti allestiti alla bell' e meglio, di persone che sembrano immobili nel loro vivere: ma poi pensi ai tetti di lamiera, che già alle sette del mattino rendono la casa un forno, alla temperatura fuori che è un deterrente a qualsiasi movimento e ti chiedi come facciamo a essere così attivi (la prospettiva è importante) .
Alla fine sembra di essere qui col corpo (lo dimostrano i vestiti sudati e i capelli impolverati), ma la testa pare essersi presa del tempo per riposare: un po' sopita,è intenta solo ad ascoltare e non riesce a formulare un'opinione su quello che ha attorno.
La comunicazione è zoppiccante, ma almeno ti porta a cercare di migliorare le tue capacità di improvvisazione e di mimo, piccoli speccatoli per pazienti ascoltatori: il sorriso e lo sguardo vitreo (segno della scarsa comprensione del dialogo) fortunatamente non scoraggio l'interlocutore di turno! Ora però abbiamo imparato quel poco che basta a dare l'illusione che potremmo sostenere un piccolo scambio di battute (Kume ku sta? N' sta dritu, obrigadu.. i bo gora? come stai ? bene,grazie e tu?..), ma all'improvviso il discorso si interrompe nell'imbarrazzo di aver perso il filo e scattano come molle i sorrisi di circostanza.
Qui ti chiedi come faccia la gente senza corrente (il frigo magari c'è, ma senza energia diventa solo un ingombrante comodino), ma sembrano domande che non molti si pongono: noi invece cominciamo a sentirne la mancanza... Per fortuna non mi fido delle prime impressioni: mai avuta una giusta!
Stefania Rossetto, Volontaria in Servizio Civile in Guinea Bissau